Le proposte per il Recovery Plan da parte di un gruppo di esperti in Ambiente e Salute, inviate a tutte le Istituzioni nazionali e regionali.
Tutti gli organismi scientifici nazionali e internazionali sono concordi nel ritenere che i mutamenti climatici conseguenti al riscaldamento terrestre rappresentano la più grande minaccia per la salute dell’uomo. Tali mutamenti, infatti, sono responsabili di molti effetti avversi quali la perdita della biodiversità, l’estinzione di specie animali e vegetali, la desertificazione, la diminuzione delle riserve idriche, l’erosione del suolo, la genesi di eventi meteorologici estremi, l’aumento delle resistenze batteriche e la diffusione di epidemie.
Disaccoppiare la crescita economica dalla crescita delle emissioni di gas serra e dei gas inquinanti è l’unico modo per garantire crescita e salute. Occorre dar vita ad un cambiamento radicale dell’attuale modello di sviluppo fondato sul progressivo depauperamento delle risorse naturali e la sistematica aggressione agli ecosistemi. De-carbonizzazione vuol dire crescita economica, lavoro, e salute.
In questo drammatico contesto è indispensabile che gli investimenti previsti dal Recovery Plan siano prioritariamente indirizzati verso la tutela dell’ambiente e della biodiversità in ossequio all’approccio sistemico denominato “One Health”. Secondo tale approccio la salute riguarda la vita in tutti i suoi aspetti, e pertanto i diversi settori dell’organizzazione sociale (economia, commercio, trasporti, urbanistica, agricoltura, lavoro, istruzione, salute, ecc.) devono integrarsi e cooperare per il raggiungimento di obiettivi comuni e condivisi. Il Recovery Plan rappresenta un’occasione irripetibile per delineare il tipo di società che si vuole lasciare alle prossime generazioni e per fissare alcune fasi salienti di questo percorso di riconversione ecologica delle attività umane.
Qualsiasi tentativo di rendere il nostro mondo più sicuro è destinato a fallire a meno che non si affrontino l’interfaccia critica tra persone e agenti patogeni e la minaccia esistenziale del cambiamento climatico, che sta rendendo la nostra Terra meno abitabile.
Ghebreyesus T.A., DG dell’OMS. Discorso alla 73a Assemblea mondiale della Sanità. 18 maggio 2020
Parole chiave
Allarme del mondo scientifico: la temperatura del pianeta continua a crescere e le proiezioni dicono che è molto probabile che tra il 2030 e il 2040 arriveremo a un riscaldamento globale medio di 1.5°C. L’impatto del cambiamento è sempre più evidente, con gli eventi estremi che diventano più intensi e frequenti e con ulteriori rischi per la salute a cominciare da quello di pandemie.
Appello all’azione: non si può far finta di niente! Occorre definire politiche basate sulle evidenze scientifiche e sostenere la partecipazione alle decisioni che condizioneranno la nostra vita quotidiana sulla terra.
Occorre un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che ci faccia uscire dalla catastrofe attuale, eviti quelle prevedibili per il futuro e punti sui co-benefici per il clima e la salute derivanti dalle azioni che riducono l’inquinamento.
Tutti gli organismi scientifici nazionali e internazionali, governativi e non governativi concordano sulla gravità della crisi del clima che rappresenta già allo stato attuale una grande minaccia per la salute globale e nelle proiezioni future un rischio inaccettabilmente alto di eventi potenzialmente catastrofici.
Secondo l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, future pandemie emergeranno più spesso, si diffonderanno più rapidamente, arrecheranno più danni all’economia mondiale e determineranno la morte di più persone rispetto a quelle uccise dal Covid-19, qualora non si cambi l’approccio al problema passando dalla REAZIONE – agire dopo che il problema si è verificato- alla PREVENZIONE.
Questo soprattutto considerando che:
− si stima esistano altri 1,7 milioni di virus ancora “non scoperti” nei mammiferi e negli uccelli di cui fino a 850.000 potrebbero avere la capacità di infettare le persone;
− il contesto socio-ambientale (dall’inquinamento atmosferico, delle acque e dei suoli, alle diseguaglianze che si riflettono sui determinanti di salute come l’alimentazione e l’ambiente di vita e di lavoro) favorisce la vulnerabilità delle comunità, di fasce di popolazione e di singoli individui alle pandemie;
− gli sforzi economici per la ripresa sono stimati essere 100 volte superiori a quelli per la prevenzione.
Disponiamo di prove scientifiche solide indicanti che le stesse attività umane che causano il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità causano anche il rischio di pandemia attraverso i loro impatti sull’ambiente. “La nostra impronta ecologica ci avvicina sempre di più alla fauna selvatica in aree prima inaccessibili del pianeta, il commercio, anche per collezionismo, porta questi animali nei centri urbani. La costruzione di strade con un ritmo senza precedenti comporta in molte aree una deforestazione senza seguire criteri di sostenibilità, al tempo stesso la bonifica e lo sfruttamento massiccio dei territori per fini agricoli, nonché i viaggi e il commercio ormai globale, ci rendono estremamente sensibili ai patogeni come i coronavirus”(Peter Daszak, 2020).
Per quello che concerne il nostro Paese, occorre, pertanto, che il servizio sanitario, tutte le istituzioni che si occupano di ambiente e territorio e la società intera affrontino le sfide attuali e quelle dell’immediato futuro secondo approcci tipo One Health ossia un modello sanitario basato sull’integrazione di discipline diverse e sul riconoscimento che la salute umana, la salute animale e la salute dell’ecosistema sono legate indissolubilmente.
È altresì necessario considerare che nei sistemi complessi, i singoli eventi possono diventare più altamente correlati tra loro quando l’intero sistema è sotto stress. In questo senso gli eventi meteorologici estremi, che si verificano più frequentemente con il cambiamento climatico, assumono sempre maggiore importanza per la loro capacità di interferire con la salute e la sicurezza del sistema globale, favorendo la diffusione delle malattie infettive e di agenti inquinanti.
Le incertezze su quando e con quale entità i rischi su larga scala potrebbero materializzarsi implicano una necessaria, approfondita e indipendente azione preventiva immediata e durevole.
Noi possiamo prevenire le pandemie e la crisi del clima ma non lo stiamo facendo con la forza necessaria. L’Intergovernmental Science-Policy Platform afferma che “fare affidamento sulle risposte alle malattie dopo la loro comparsa, adottando misure di salute pubblica e risposte tecnologiche, in particolare la progettazione e distribuzione di nuovi vaccini e terapie in regime di emergenza, è un “percorso lento ed incerto”, sottolineando sia la diffusa sofferenza umana sia gli enormi danni economici all’economia globale derivanti dalla reazione alle pandemie. Le attuali stime dei costi per COVID-19, pari a 8-16 trilioni di dollari a livello globale fino a luglio 2020, sono destinate a essere aggiornate al rialzo, potendo raggiungere i 16 trilioni di dollari entro il quarto trimestre del 2021 nei soli Stati Uniti. Gli esperti stimano altresì che il costo per ridurre il rischio di pandemie è di 100 volte inferiore a quello necessario per le risposte.
Il tentativo di risparmiare denaro trascurando la protezione dell’ambiente, la preparazione alle emergenze, i sistemi sanitari e le reti di sicurezza sociale, ha dimostrato di essere un modello di economia fallace ed il conto viene ora pagato molte volte (OMS Prescription for a healthy and green recovery from COVID-19, 2020).
Occorre una nuova consapevolezza della reale possibilità che si verifichino altri disastri, come altre pandemie o eventi estremi, che potrebbero avere un impatto su una scala di gran lunga superiore rispetto al COVID-19.
Nell’ottobre 2018, durante la Prima Conferenza Mondiale sull’Inquinamento Atmosferico e la Salute (First WHO Global Conference on Air Pollution and Health), è stato lanciato un allarme per le oltre 7 milioni di morti premature nel mondo causate ogni anno dall’inquinamento atmosferico. I partecipanti hanno preso l’impegno di agire per ridurre di 2/3 il numero di tali morti entro il 2030.
Non è possibile non modificare in modo radicale quello che è stato fatto finora.
Le decisioni prese nei prossimi mesi possono “bloccare” i modelli di sviluppo economico che arrecheranno danni permanenti e crescenti ai sistemi ecologici che sostengono la salute umana e i mezzi di sussistenza oppure, se presi con saggezza, possono promuovere un mondo più sano, più
giusto e più verde (OMS Prescription for a healthy and green recovery from COVID-19, 2020).
Proposta di revisione (o sviluppo) del PNRR e di rimodulazione/adozione degli strumenti e delle riforme che ne rendano possibile l’attuazione, alcune note di carattere generale ed alcune proposte di intervento.
I limiti del PNRR nella versione attuale (Bozza 12 gennaio 2020)
Valutazione generale
Facciamo nostra la considerazione dei colleghi della Cambridge University: Questa fase offre quindi l’opportunità di cambiare il corso dell’ordine globale capitalista sempre più neoliberale in cui i profitti delle imprese e la ricchezza individuale sono stati gli indicatori chiave del successo economico, anche quando sono costruiti su un’immensa sofferenza umana e su uno sfruttamento spietato e senza precedenti dei beni comuni globali (Vinke K. et al., 2020).
Se pensato e declinato correttamente, il Recovery Plan in risposta alla crisi COVID-19 potrebbe portare ad una ripresa caratterizzata da minor inquinamento, maggiore mitigazione della crisi climatica ed effettiva applicazione delle misure di adattamento previste.
Per uscire da questa pandemia con la prospettiva di un futuro con minori rischi occorre articolare misure di ripresa a breve termine ed impegni a lungo termine, da implementare al più presto possibile, affrontando anche il cambiamento climatico, compresi provvedimenti immediati di adattamento e mitigazione. Le azioni per affrontare le crisi sanitaria e climatica, nonché i problemi connessi alla qualità dell’aria, che stanno causando la perdita di centinaia di migliaia di vite umane, devono essere attentamente esaminate e strettamente collegate.
L’attuale proposta di PNRR non sembra ancora capace di promuovere un approccio tipo One Health, ovvero una visione sistemica della salute, che integri le complesse relazioni tra uomo, microrganismi, animali, piante, agricoltura, fauna selvatica e matrici ambientali.
L’ottica con cui il documento è stato redatto è riduttiva, nel senso che si limita all’elencazione di problemi e obiettivi, dove la programmazione di interventi per 220-300 miliardi di euro avviene sostanzialmente in assenza di una visione sistemica e di una strategia integrata, come invece richiederebbero le sfide che occorre affrontare.
Tutti gli investimenti del PNRR richiedono una fase di attuazione che è ben altro rispetto al processo amministrativo finalizzato ad assegnare/erogare/rendicontare risorse e che richiede un cambiamento di visione ed una maggiore consapevolezza da parte delle strutture tecniche e politiche degli enti preposti. Senza questo cambio di visione l’attuazione del Piano potrebbe non avere l’impatto desiderato, e richiesto dall’Unione Europea, con il rischio di spendere a pioggia senza attuare quel cambiamento necessario a prevenire future situazioni di crisi.
Ricordiamo che questa pandemia si è originata perché si sono verificate le condizioni ambientali favorenti un salto di specie, con l’immediata diffusione di un virus dagli animali agli esseri umani, e la massimizzazione dell’impatto. Tutto questo dovrebbe innanzitutto far comprendere perché oggi la progettazione delle politiche, qualunque esse siano, debba includere come aspetto fondamentale una conversione ecologica. È difficile pensare che una transizione ecologica possa davvero essere avviata se chi la deve pianificare non cambia il suo modo di vedere il mondo.
La bozza di PNRR (12 gennaio) si articola in 6 Missioni, che a loro volta si raggruppano in 16 Componenti funzionali a realizzare gli obiettivi economico-sociali. Le Componenti si articolano in 47 Linee di intervento ma non sono indicati né i criteri di selezione delle priorità né i pesi con cui si attribuiscono i finanziamenti alle diverse linee di intervento (ad es. la produzione e la distribuzione di energia più delle infrastrutture per alimentare veicoli elettrici e per lo sfruttamento dell’idrogeno liquido? L’ammodernamento della flotta automobilistica nazionale più del piano nazionale ciclovie?).
In generale manca una valutazione preventiva, trasparente e argomentata delle scelte fatte, se si escludono alcune preliminari valutazioni su PIL, crescita e occupazione. Ciò appare in contraddizione con il cambiamento di approccio atteso, ovvero quello che mette al primo posto della propria agenda il clima, l’ambiente e la salute: se questi vengono danneggiati, sono in grado di condizionare negativamente tutte le altre sfere in modo determinante. Nel documento non c’è una chiara definizione del principale obiettivo, quello della conservazione delle matrici naturali di supporto alla vita; non sono indicati criteri trasparenti, basati sulle evidenze scientifiche disponibili, per la definizione della gravità dei rischi e delle relative priorità; ci sono marcate carenze come la totale assenza di riferimenti alla strategia nazionale della biodiversità.
Entrando nello specifico, le azioni previste non sempre appaiono coerenti con l’obiettivo della transizione ecologica e la de-carbonizzazione né in linea con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite e le altre carte ecologiche/ambientali internazionali.
Ad esempio, sulle “infrastrutture per una mobilità sostenibile” sembra che sia stata ignorata una conoscenza consolidata: le politiche che riducono l’uso complessivo dei veicoli ed incrementano gli spostamenti attivi sono quelle che producono i maggiori benefici in termini di riduzione delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento atmosferico e dei guadagni di salute. La bozza di PNRR prevede 31,98 miliardi di euro di cui 28,3 per l’ “Alta velocità di rete e manutenzione stradale”e 7,5 per la mobilità locale sostenibile che include il rinnovo del parco rotabile. Eppure, le emergenza sanitaria e ambientale suggerirebbero un’inversione delle priorità così delineate.
Si sostiene un modello di turismo ancora troppo incentrato sulla concentrazione di grandi flussi nelle principali città e città d’arte (già al collasso prima della pandemia) piuttosto che sull’elaborazione di una visione turistica a elevata sostenibilità per i numerosi borghi e la loro storia e la cultura locale, il godimento delle aree protette, dei beni naturalistici e delle opere artistiche e archeologiche sparse sul territorio (0,3 miliardi per 120 borghi e 0,9 miliardi per 9 città metropolitane).
L’agricoltura e gli allevamenti intensivi sono una delle principali fonti di emissioni di gas serra ed un rilevante problema di sanità pubblica sia in termini di dieta e di qualità dei cibi sia in termini di aumento del rischio di mutazioni nei patogeni e di diffusione di nuove epidemie. La concentrazione di molti capi in spazi ridotti e la necessità di tutelare la salute e la produttività degli animali allevati intensivamente con antibiotici, favoriscono una forte pressione selettiva su virus e batteri, che mutano velocemente verso ceppi e tipi più aggressivi anche verso la specie umana, come è avvenuto per l’influenza aviaria e suina. Un recente rapporto dell’OMS mostra come l’antibiotico-resistenza, cui contribuiscono sia l’uso imprudente degli antibiotici in medicina umana sia il loro impiego nella zootecnia intensiva, rappresenti una minaccia sanitaria globale, con impatti negativi sulla salute umana ed animale. È stimato che ogni anno le infezioni resistenti ai farmaci provocano 700.000 morti e si prevede un incremento dei decessi fino a 10 milioni nel 2050. Eppure, per il settore agricoltura, le misure previste dal PNRR riguardano sostanzialmente l’edilizia ed i trasporti (con previsione di incremento della capacità di stoccaggio che paradossalmente potrebbe tradursi in un’ulteriore cementificazione), senza una chiara incentivazione di allevamenti e colture che assicurino da una parte una maggiore indipendenza alimentare del nostro Paese, dall’altra una maggiore sostenibilità in termini di rispetto della biodiversità, impatto sul clima, emissioni e consumo di risorse. Dunque si parla molto genericamente di un’agricoltura più sostenibile ma senza rispondere alle emergenze di cui sopra.
Completamento del quadro pianificatorio indispensabile per la realizzazione del PNRR
Condizione necessaria per una reale efficacia del PNRR è il completamento del quadro pianificatorio ordinario, entro cui si devono innestare i progetti previsti. In particolare è necessario completare e adottare il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e quello della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, che non devono avere solo il logo del Ministero dell’Ambiente ma devono essere espressione dell’intero Governo e del Parlamento.
Il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici è lo strumento fondamentale per affrontare in maniera organica gli effetti già in atto dei cambiamenti climatici, con particolare focus su dissesto geologico, idrologico ed idraulico; gestione delle zone costiere; biodiversità; insediamenti urbani. Il Piano per la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile è lo strumento per declinare a livello nazionale gli obiettivi strategici dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile nell’ambito della programmazione economica, sociale ed ambientale. Le aree coperte dalla strategia sono: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership.
Da sottolineare che l’assenza di obiettivi di sostenibilità a livello nazionale invalida molte delle azioni previste nello stesso PNRR e rende le Valutazioni Ambientali Strategiche (VAS) relative ai piani ed ai programmi una procedura di limitata utilità, fornendo argomenti a chi considera tali procedimenti alla stregua di inutili complicazioni burocratiche. Al contrario obiettivi strategici chiari e la coerenza tra i diversi strumenti possono rendere più agevoli, rapide ed efficaci le Valutazioni di Impatto Ambientale (VIA) e le Valutazioni di Impatto Sanitario (VIS) delle opere necessarie, consentendo di focalizzare l’attenzione sui reali problemi del Paese che ne rallentano la realizzazione (ad es. non riuscire ad utilizzare i finanziamenti europei, la corruzione, la demotivazione e dequalificazione del personale tecnico, l’architettura iper-frammentata delle amministrazioni locali inadatta ad affrontare le nuove sfide ambientali). Lo sviluppo e l’attuazione di procedure di VAS, VIS e VIA trasparenti, aperte agli stimoli ed alle domande delle comunità e delle parti sociali, e al contempo basate su evidenze e criteri scientifici solidi e aggiornati, devono essere requisiti imprescindibili.
Alcune proposte di intervento
Le economie sono un prodotto di società umane sane, che a loro volta si basano sull’ambiente naturale, la fonte originale di tutta l’aria, l’acqua e il cibo puliti (OMS Prescription for a healthy and green recovery from COVID-19, 2020).
– Proteggere e tutelare le matrici naturali che supportano la vita: l’aria, l’acqua, il suolo, i boschi e le foreste, istituendo una gerarchia dei Piani e facendo in modo che quelli per la qualità dell’aria e dell’acqua siano sovraordinati e vincolanti rispetto agli altri (mobilità, sviluppo etc.) e orientati principalmente alla conservazione delle stesse matrici.
– Disporre tagli netti ai combustibili fossili e sostegno decisivo alle fonti rinnovabili, in particolare eoliche e solari, ormai mature per un utilizzo esteso, senza facilitare passaggi intermedi al metano -anch’esso fossile e climalterante, la diffusione massiva del biometano, o l’incremento dell’uso di biomasse, con necessità di coltivazioni agricole dedicate. Le decisioni sulle infrastrutture energetiche prese ora saranno determinanti per i decenni a venire. Una rapida transizione globale verso l’energia pulita (incluso l’idrogeno ‘verde’ ma non l’idrogeno ‘blue’ prodotto dal gas con emissioni di gas serra) non solo raggiungerebbe l’obiettivo dell’accordo di Parigi sul clima (mantenere il riscaldamento al di sotto dei 2°C) ma migliorerebbe anche la qualità dell’aria a tal punto che i guadagni sanitari ripagherebbero due volte il costo dell’investimento. (OMS Prescription for a healthy and green recovery from COVID-19, 2020).
– Mentre l’obiettivo strategico è l’uso di fonti energetiche sostenibili, a breve termine sarebbe utile porre un sovra-prezzo sui carburanti inquinanti, in linea con i danni che causano. Questo dimezzerebbe le morti per inquinamento atmosferico, ridurrebbe di oltre un quarto le emissioni di gas serra e aumenterebbe di circa il 4% il PIL globale.
– Promuovere la riduzione dei consumi energetici del 50% non solo attraverso il miglioramento delle prestazioni energetiche del patrimonio edilizio pubblico e privato, ma anche attraverso la promozione di comportamenti basati sulla sobrietà e non sui consumi, oltre che sulla mobilità attiva.
– Ridurre al minimo a breve termine, arrivando a zero e a medio termine, l’uso di plastica per imballaggi e bottiglie. Nel contempo promuovere un’economia circolare finalizzata a recuperare e valorizzare la plastica di scarto, eliminando la dispersione nell’ambiente. Il problema della diffusione della plastica impone misure immediate in quanto la trasformazione in particelle microscopiche rende sempre più grave nel tempo il problema della contaminazione delle matrici ambientali e del cibo, più difficile e costoso il risanamento; inoltre, i materiali e i rifiuti in plastica sono una delle più importanti fonti di esposizione umana e degli ecosistemi a interferenti endocrini, che possono causare gravi patologie, come l’infertilità, le malattie metaboliche, il cancro, nonché alterare gravemente la capacità riproduttiva delle specie presenti negli ecosistemi, e quindi la biodiversità.
– Bloccare realmente il consumo di nuovo suolo, incentivando il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente e non solo in termini energetici ma tenendo conto dei bisogni socio-economci e sanitari emergenti della popolazione.
– Prevedere un progetto specifico dedicato alle bonifiche dei siti contaminati di interesse nazionale, dotato di adeguato finanziamento, ad oggi totalmente assente. Il coinvolgimento delle comunità e la valutazione comparata dei rischi ambientali e sanitari su basi scientifiche solide e trasparenti sono condizioni essenziali.
– Regolamentare la pianificazione urbanistica nell’ottica di promuovere il trasporto attivo, la riduzione delle isole di calore, l’aumento degli spazi verdi pubblici accessibili, la socializzazione, la rigenerazione dei quartieri periferici.
– Investire nelle infrastrutture per migliorare il drenaggio dei centri urbani, la messa in sicurezza e l’efficientamento delle reti fognarie e di depurazione e del recupero delle acque reflue.
– Rafforzare la transizione verso un modello agro-ecologico che non alteri il clima, riduca le emissioni ed il consumo di acqua e suolo, valorizzi le risorse locali promuovendo l’autonomia alimentare del nostro Paese (filiere corte), qualifichi l’agricoltura integrata ed agevoli stili alimentari a base prevalentemente vegetale. L’agricoltura biologica ed a km-zero riduce le emissioni di gas serra legate al trasporto di cibo e l’inquinamento da pesticidi. Vanno, per contro, disincentivate le forme di agricoltura e zootecnia non sostenibili, quali i grandi allevamenti intensivi e le monoculture, che comportano rischi per la salute e l’ambiente, ivi incluse le pandemie, e richiedono l’uso massiccio di pesticidi.
– Disincentivare l’importazione di prodotti responsabili di deforestazione.
–Ridurre i rischi di malattie zoonotiche attraverso un nuovo partenariato intergovernativo “salute e commercio” che porti all’eliminazione delle specie ad alto rischio di malattia nel commercio di fauna selvatica; l’applicazione della legge in tutti gli aspetti del commercio illegale di fauna selvatica; l’informazione e l’educazione della comunità sui rischi per la salute.
– Riconvertire la produzione industriale investendo nei settori industriali strategici della decarbonizzazione con priorità per mobilità pubblica, batterie, idrogeno verde (non blue o grigio), elettrificazione e digitalizzazione dei porti e del trasporto pubblico locale. De-carbonizzazione vuol dire crescita economica, lavoro, e salute.
– Rivalutare i procedimenti di VAS, VIS e VIA in modo che i benefici ed i rischi per la biodiversità e la salute, ivi incluse pandemie e malattie emergenti, siano riconosciuti ed esplicitamente considerati in modo trasparente e sulla base di criteri ed evidenze solide ed aggiornate, in tutte le fasi decisionali e nelle attività di produzione e consumo.
– Dare sostegno alla ricerca pubblica e privata per nuovi prodotti e produzioni bio circolari, destinando posti di lavoro ad hoc e garantendo il sostegno alla specializzazione dei giovani.
– Riorientare l’istruzione formale ed informale a tutti i livelli, dalle scuole primarie all’Università, con programmi, didattica e strumenti finalizzati a prevenire e mitigare i rischi ambientali e sanitari, in linea con gli obiettivi sviluppo sostenibile 2030 delle Nazioni Unite. Il primo passo in questo sforzo è comprendere i principi dell’organizzazione che gli ecosistemi hanno sviluppato per sostenere la vita. Proponiamo che venga preso in considerazione il curriculum formativo messo a punto dalla Rete Italiana Ambiente e Salute (RIAS) con l’obiettivo di soddisfare i bisogni di conoscenza degli operatori del Sistema sanitario nazionale e del Sistema per la protezione dell’ambiente sui temi della relazione tra esposizioni ambientali e salute.
– Promuovere la solidarietà intergenerazionale è importante per affrontare livelli di rischio che sono diversi tra giovani ed anziani. Per il loro futuro comune, entrambe le generazioni dovrebbero stipulare un contratto sociale basato sulla solidarietà reciproca.
– Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria la maggior parte degli investimenti è destinata a realizzare nuove strutture e ad acquistare nuove tecnologie senza però considerare il problema dell’eccesso di prestazioni sanitarie inappropriate, che rappresentano una delle voci più rilevanti degli sprechi (20-30% della spesa sanitaria complessiva). Il sistema sanitario in Italia è tra le principali attività lavorative e contribuisce a circa il 5-6% delle emissioni complessive di CO2 in atmosfera, percentuale che potrebbe essere almeno parzialmente ridotta attraverso l’utilizzo di energie rinnovabili, la riqualificazione energetica degli edifici ed una razionale gestione dei rifiuti.
È necessario accompagnare gli interventi di rafforzamento della rete dell’assistenza sanitaria, consistenti prevalentemente in opere edilizie (7 miliardi di euro per la costruzione di Case di comunità e di Ospedali di territorio), con una chiara definizione di scenari centrati sulla riduzione degli sprechi e sugli interventi a basso impatto ambientale, quali le attività di prevenzione, di promozione della salute e di assistenza alla persona orientate al chronic care model, che preveda una ridefinizione del ruolo dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta.
In riferimento all’intervento 2 Salute ambiente e clima. Sanità pubblica ecologica è necessaria la formulazione di un piano generale di riorganizzazione e di integrazione delle attività ambiente e salute che deve prevedere il pieno coinvolgimento del Servizio Sanitario Nazionale e del Sistema Nazionale della Protezione Ambientale, anche ai fini della formazione degli operatori e dei medici di medicina generale. La definizione delle procedure, delle azioni e degli interventi dovrà essere partecipata e non può prescindere dall’esperienza maturata in questi anni su questo tema.
promotori documento:
Giulio Betti (meteorologo LAMMA-IBE/CNR), Fabrizio Bianchi (epidemiolgo CNR), Antonio Bonaldi
(medico Slow medicine), Roberto Buizza (fisico Scuola Superiore Sant’Anna), Mario Carmelo Cirillo (ingegnere già ISPRA), Daniela D’alessandro (medico Sapienza UNI Roma), Gianluigi De Gennaro (chimico UNI BA), Aldo Di Benedetto (medico Ministero Salute), Francesco Forastiere (epidemiologo CNR), Paolo Lauriola (epidemiologo RIMSA), Carmine Ciro Lombardi (chimico e tecnologo farmacologo Tor vergata UNI Roma), Alberto Mantovani (tossicologo ISS), Vitalia Murgia (medico CESPER), Francesca Pacchierotti (biologa ENEA), Maria Grazia Petronio (medico UNI PI), Pietro Paris (ingegnere ISPRA), Paolo Pileri (docente PoliMI), Roberto Romizi (medico ISDE), Gianni Tamino (biologo già UNI PD), Raffaella Uccelli (biologa ENEA), Sandra Vernero (medico Choosing wisely Italy), Giovanni Viegi (pneumologo ed epidemiologo CNR), Paolo Vineis (epidemiologo Imperial College London).
Questo documento non esprime necessariamente la posizione delle istituzioni di provenienza degli
autori.
2 febbraio 2021 Per contatti: mariag.petronio@gmail.com
Bibliografia essenziale
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