La prima edizione di Ju buk e Scanno Borgo in Festival
È successo qualcosa tellurico. “Ju buk”. Un pubblico in cerca di forza tangibile per migliorare il proprio contesto sociale, un manipolo di autrici di ricerche della felicità, Onorevoli (in tutti i sensi) attiviste per la libertà pronte a commuoversi davanti a un riconoscimento circolare: il “femminile” e il “maschile” sono costruzioni sociali che non abbiamo scelto tutti insieme.
Donne e uomini non si nasce, si diventa. Lo diceva Simone de Beauvoir nel 1949. Nel momento in cui il medico dice ai neogenitori “è femmina” o “è maschio” parte tutta una serie di istruzioni per l’uso automatizzate, meccanismi sovrastrutturali a catena a cominciare dal colore del fiocco attaccato alla porta, ai giochi, ai catoni animati, ai tagli di capelli, ai vestiti, ai comportamenti che il maschietto e non la femminuccia può avere e viceversa. Prendere coscienza di questi condizionamenti, del fatto che non sono innocui, della possibilità di non reiterarli, rende liberi e felici. Gli ingredienti per la felicità sono tanti e soggettivi, ma se non si è liberi di scegliere i propri ingredienti, si costruiscono solo illusioni e contraffazioni. Dovremmo poter esplorare e sperimentarci nella costruzione del sé, nell’estetica, nelle relazioni, nello stile di vita, nella misura in cui non rechiamo danno ad altri. Che a qualcuno le nostre scelte diano fastidio non importa. Il fastidio non è un danno.
“Ju Buk”, rassegna letteraria di questioni di genere, ideata, organizzata e condotta da Eleonora De Nardis, è stato l’epicentro delle vibrazioni che abbiamo sentito a Scanno, tra piazzetta Istofumo e piazza della Codacchiola, il 25, 26, 27 giugno. Da lì, tutt’intorno per il centro storico, fotografia, artigianato, moda, tour culturali, incontri. Un festival di vita vissuta, tra tradizione e innovazione: “Scanno Borgo in Festival”, opera di Maria Fiorella Rotolo e Matilde Landriscina.
Silvia Mosca
«’Andiamo a prendere il caffè, vieni?’, ‘Andiamo a prendere il caffè?’ La sentite la differenza tra queste due domande? Solo la seconda è un vero invito, perché il linguaggio è inclusivo. Il linguaggio crea il mondo in cui viviamo», Maria Fiorella Rotolo
« Ho visto il lago a forma di cuore e ho pensato: che tristezza. Non so quante persone dichiaratamente transgender ci siano qui, ma se sì: stanno vivendo la loro vita? E come? Ecco, guardando quel cuore dall’alto ho pensato che io sarei stata triste qui. Perché quello che per molte persone è felice per me non lo è. Ho già ho immaginato che tra queste mura ci sarebbe stato qualcosa, che avrebbe impedito il mio libero sviluppo, il mio fiorire», Josephine Yole Signorelli
«Che tu sia felice senza che la tua felicità si realizzi al prezzo della sofferenza di qualcun altro, e che tu non abbia paura di usare la tua voce per difendere i tuoi diritti e quelli altrui», Giulia Blasi
«Io non ho fatto figli per scelta, pur avendone tutte le possibilità. E in ufficio mi dicono: “va bene, resti tu stasera a fare questo lavoro? Tanto non hai figli!’. In famiglia: “badi tu a mamma, tanto non hai figli!”. Alla donna che non fa figli dobbiamo dare comunque un ruolo perché non avrebbe niente da fare, perché c’è sempre qualcosa di strano in una donna che non fa figli… chissà che le viene in mente, facciamole fare figli così sta buona», Marina Turi
«Cerca di essere ricco, di avere successo, di comprarti tante scarpe e tanti vestiti, cerca di far carriera. È il messaggio che passa. Tutte cose in qualche modo importanti, certo. Ma tutte cose importanti per la felicità. Hanno un valore se contribuiscono alla tua felicità. Si dovrebbe accettare però che qualcuno voglia essere felice con altre cose. Ecco, nei libri di cui si parla in questo Festival, ho trovato la ricerca della felicità. Il racconto di ricerche di felicità», Stefania Pezzopane