Anche quest’anno, per la seconda volta consecutiva, la tradizionale festa del 17 gennaio dedicata a Sant’Antonio Abate, detto Barone, causa virus, non ha avuto luogo. Purtroppo, la piazzetta antistante la chiesa, è rimasta completamente deserta. Quindi, niente distribuzione delle gustose “sagne e recotta”, tutto rimandato a tempi migliori.
Certamente non è mancato chi a casa propria ha provveduto lo stesso a preparare il gustoso pasto in onore del Santo, d’altronde la tradizione è tradizione e va rispettata. Un pensiero va anche a chi da tanti anni si prodiga affinché certe usanze non scompaiano. E rimangono i ricordi che ognuno si porta dentro, nel cuore, quando si era attorniati da una buona schiera di donne in costume tradizionale con “ju scummarielle” in mano, nei pressi de “ju callare”, zeppo di minestra fumante, di cui torna in mente quell’odore inconfondibile particolarmente invitante.
Sant’Antonio Abate nella storia è ricordato tra i fondatori del monachesimo orientale perciò chiamato “padre dei monaci”. Dopo la morte dei genitori distribuì i propri averi e nel 270 si ritirò nel deserto della Tebaide dove cominciò una vita all’insegna della penitenza. In quel luogo lo raggiunsero numerosi discepoli dando vita ad una comunità anacoretica in Egitto. Sostenne i martiri nella persecuzione di Diocleziano e si adoperò nella lotta contro l’Eresia Ariana. Fu Sant’Attanasio che scriverà la biografia del Santo che morì vecchissimo presso Afroditopoli nel 356.
La leggenda “de lo beatissimo egregio Missere il barone Sancto Antonio” è uno dei più interessanti documenti dell’antica poesia volgare abruzzese. Opere di un chierico che dovette diffonderla, come mostrano chiare tracce di tradizione orale in tutta l’area aquilana. Il componimento è giunto a noi nel Codice Casanatense nel 1808. Databile ai primi anni del Trecento la leggenda è entrata nel repertorio dei poeti di occasione, specie quelli appartenenti al mondo pastorale improntando moltissime orazioni in uso delle compagnie di questua che, in occasione della festa di Sant’Antonio, attraversavano l’intero Abruzzo. A Scanno, che fu tra i più fiorenti centri dell’economia armentizia, il ricordo di questo antico componimento è ancora molto vivo che Sant’Antonio, chiamato altrove Abate o di Gennaio, è detto Barone, anche allo scopo di distinguerlo dal Santo di Giugno, detto il giglio.
La mattina del 17 Gennaio, un tempo di buon’ora, la famiglia Di Rienzo che possedeva la maggior parte delle greggi svernanti in Puglia, faceva disporre all’esterno della propria casa, uno o più caldai di rame ricolmi di fumanti “sagne” con la ricotta. I devoti dopo aver ascoltato la messa nella vicina chiesa di Sant’Antonio Abate, si avviavano con il prete in testa al corteo verso casa Di Rienzo. Qui dopo il rito della benedizione del cibo, con una speciale formula che richiama l’incipit del cantare medievale, ognuno si serviva di un mestolo di minestra che consumava per devozione. Di norma, oggi, il rito della minestra viene ripetuto e organizzato da associazioni e privati del paese di Scanno. La cerimonia, anche per lo scenario in cui si svolge, è molto suggestiva e dà avvio al lungo periodo del Carnevale.