La Scurdia
Oltre alle tante nostre usanze e tradizioni religiose e laiche, portatrici di elementi folklorici, ancora praticate: Chezette (Canti di questua della Pasquetta), Segne ‘nghe la recotta (Sant’Antonio Abate o Barone), Pagnuttélle e treve (Sant’Antonio), Sande Lurienze (Jovana), San Gerarde (Pellegrinaggio a Gallinaro), Catenacce (Corteo nuziale), Tire a jù halle (Sant’Egidio), Glorie (Falò di San Martino), alcune altre sono desuete da tempo. Citiamo a memoria: la benedizione del vino, a San Giovanni; quella del Corpus Domini di Sant’Antonio da Padova, che partiva dalla Chiesa omonima e arrivava alla “Crucetta” di “Fraumusa” (con benedizione dei campi per augurare un buon raccolto); la processione del 22 giugno di San Luigi, in occasione delle prime comunioni, che partiva da Sant’Eustachio e terminava nella Chiesa matrice; c’era poi quella dell’Assunta, il 15 agosto (l’onore della vestizione della statua era riservata alla famiglia Tanturri); quindi quella di San Rocco, il giorno seguente. Anche alcune tradizioni laiche sono scomparse: la “Bona Strina” (Buona strenna di Capodanno); i canti dei pastori transumanti della “Spartenza” (Separazione); il canto del Fiore (sempre a Capodanno).
In questa occasione vogliamo ricordarne un’altra ricorrenza proprio nel periodo di preparazione alla Pasqua: la “Scurdia”. Anche questo era un rito di questua “in natura”; celebrato in ricordo della cattura del Cristo nell’orto degli ulivi. Un piccolo corteo di chierichetti, con uno strano attrezzo, fatto a tronco di piramide girava per il paese. Su un lato dello strumento una manovella, ruotando la quale, mediante un ingranaggio interno, si azionava una stecca a molla che, sbattendo sulla parete opposta del marchingegno, sviluppava un suono assordante e fastidioso. Il nome dell’attrezzo è “Retrèscene” e, grazie a Enzo Gentile, abbiamo rintracciato l’unico esemplare esistente (vedi foto). Il nome ne indicava la funzione di “raccolta” della legna, donata dalle donne che, richiamate dal frastuono, uscivano di casa, regalando alla chiesa legnatico in varie fogge. Il suono già scocciante era spesso accompagnato, fin dentro il tempio, da un altro, meno assordante ma gracchiante, delle “raganèlle”, possedute da molti ragazzi scannesi, prodotte dai locali falegnami, basantisi sullo stesso principio del “Retrèscene”, ma in miniatura, azionate a mano. Dopo qualche giaculatoria e benedizione, spente le luci, erano azionate da tutti i ragazzi, facendo baccano, chiamato “Scurdia”.
La raganella, o tric trac o crotalo, è uno strumento musicale, idiofono a suono indeterminato, in legno, che produce suoni brevi e secchi tramite la rotazione di una lamina flessibile che viene raschiata da una ruota dentata fissata su un manico o una manovella. Questo strumento musicale popolare era diffuso in molte zone del sud, specialmente in Puglia. Ne esistevano di vari tipi, sotto il nome di “troccole”. Il tipo diffuso a Scanno era fatto soltanto di legno e il suono era ottenuto facendo ruotare una parte dello strumento con un movimento centrifugo. Grazie a questo movimento un lembo di legno batte ripetutamente su di una ruota dentata, producendo il suono gracchiante.
La racanèlla era spesso usata in processioni religiose e altri eventi della tradizione popolare dell’ Italia meridionale, in particolare nei riti della Settimana Santa durante la quale era abolito l’uso delle campane. In alcuni luoghi era suonata, nelle funzioni liturgiche, al posto del campanello, al termine del Gloria della Messa nella Cena del Signore, celebrata la sera del Giovedì Santo, fino all’inizio del Gloria della Veglia Pasquale.