La vita, si sa, è fatta di momenti belli e momenti brutti. A volte credi che i ricordi appartengano ormai a un periodo molto lontano mentre, nel medesimo istante in cui ci pensi, li percepisci, te li senti addosso rimbombare dentro, ne senti addirittura l’odore, come se ti fossero rimasti nelle tasche credendo di indossare ancora quei vecchi pantaloni corti e sgualciti che portavi da bambino.
Camminare a quattro zampe forse era la cosa che ci riusciva meglio, guai a lasciare la gonna di nonna per far vedere che si era capaci di stare in equilibrio, al primo tentativo di fare un passetto, si finiva per terra. I nonni in genere, abbastanza divertiti, ci tenevano moltissimo a che ciò non accadesse e nel contempo erano soliti ripetere: “lasciatelo perdere, è ancora piccolo, vedrete che quando meno te l’aspetti ci riesce… poi si stancherà di camminare…” Allora non vi era giorno in cui i nonni non si interessassero della nostra educazione, della salute e se avessimo mangiato. Solitamente uno dei loro figli rimaneva a vivere in casa e così, come i nostri genitori si prendevano cura di loro, essi si prendevano cura di noi e lo facevano con passione cercando di non viziarci troppo e di insegnarci le cose principali della vita: il valore della famiglia, l’amore in Dio e il rispetto verso gli altri. Non mancavano ovviamente i rimbrotti e qualche sculacciata quando non ci comportavamo bene ma loro erano sempre lì pronti a difenderci. Spesso ci ammonivano dicendo che piangevamo per finta e non perché sentivamo dolore e tutto finiva in un sorriso.
Con il passare degli anni, prossimi al passare dall’asilo alle scuole elementari nel 1961, i nostri nonni, seppur appena sessantenni, ci sembravano molto più anziani, logorati dal tempo e dal duro lavoro. Seduti su una sedia, vicino al fuoco, ci accoglievano con gentilezza ma subito dopo, come se fossero su un trono, impartivano ordini del tipo: “vai a prendere un po’di legna che è finita, vedi se nonno vuole le sigarette, vai a comprare le nazionali senza filtro quelle con la N sul pacchetto…e con il resto prenditi le caramelle”. La domenica era un giorno speciale; se eri stato bravo a scuola e se eri andato a servir messa, la paghetta arrivava quasi a cinquanta lire, quanto bastava per un pacco di biscotti.
Spesso ci s’intratteneva, un po’svogliatamente, ad ascoltare le loro storie del passato, storie raccontate con passione ma anche con un certo distacco, quasi timorosi di rivangare fatti brutti, crudeli e terribili: guerre, lutti, andare in miniera, a faticare all’estero per mantenere la famiglia, per legna in montagna, il pesante lavoro dei pastori, tanta, tanta fame perché non c’era niente da mangiare. Tutti fatti a noi poco comprensibili ed estremamente lontani, d’altronde a scuola non avevamo ancora iniziato a studiare la storia. Di fatto eravamo più presi dai racconti su streghe e briganti. E ancora altre vicende che si mischiavano con altre ben più divertenti come quella raccontata da un nostro coetaneo incappato in una figuraccia quando proprio suo nonno, a cui era scappato un sonoro “pere” in pubblico, prontamente lo accusò del fatto, oppure quando sporcavano il gabinetto o rompevano qualcosa, la colpa ricadeva sempre sui nipoti.
Chi ha avuto la fortuna di crescere con i nonni sa benissimo cosa vuol dire. Il nonno, di solito, parteggiava più per il nipote maschio specialmente se portava il suo nome, mentre la nonna per le femminucce e, anche se non lo davano a vedere, il primo nipote era sempre il primo nipote.
In occasione delle tante feste la loro presenza non passava mai inosservata; ben vestiti con cravatta e cappello gli uomini, mentre le donne con il bellissimo costume scannese portato con fierezza alla faccia delle rughe e degli acciacchi, quasi sempre disponibili e pronte a farsi fotografare… per regalarci un inaspettato e tenero sorriso.
Fonte: Raccolta “Pagine di gioventù” (1959 – 1979) di Pelino Quaglione