Tema: “descrivi a parole tue un episodio che hai vissuto insieme ai tuoi compagni, le sensazioni e i particolari che ti hanno colpito di più”.
Svolgimento: andare su e giù per la strada sterrata che va dalla fontanella sita sopra “l’ara de je Renzitte” al colle di Sant’Egidio per giorni e giorni, non fu di certo come si dice: una passeggiata di salute e tanto meno un’idea di quelle strabilianti ma, pur di non rimanere chiusi in casa a fare i compiti, pensammo bene di approfittarne in virtù del fatto che la piantina che avevamo appena piantato avesse bisogno di cure. Si era appena conclusa la festa degli alberi del 1963 organizzata dalla nostra scuola elementare. Una giornata particolarmente gradita da tutti noi ragazzi dai dieci anni in su in quanto non si faceva lezione in classe. Sapevamo già quale fosse la funzione delle piante, l’importanza della loro conservazione e in generale il rimboschimento.
Quello che però non eravamo riusciti ancora a capire era il perché un albero venisse abbattuto in quattro e quattr’otto quando ci aveva messo decenni per crescere. Sapevamo anche che il legname servisse a fare mobili, sedie e per riscaldarsi e, forse più per questo che per altro, ebbe inizio la nostra piccola missione. Quindi ogni pomeriggio, muniti di una specie di secchio sgangherato e arrugginito trafugato nei pressi di uno dei tanti pollai sparsi lungo il fiume, alle ore 14,00 ci si ritrovava nei pressi del piazzale di Sant’Antonio per avviarci alla volta di Sant’Egidio.
La nostra piantina di pino era interrata sulla destra appena dopo la fontana che guarda caso era rotta e fuori uso da diverso tempo. Pertanto, non essendoci più acqua nei pressi, dovevamo portarcela noi da Scanno e non fu un’impresa facile poiché il recipiente che avevamo trovato era abbastanza pesante, con qualche buco e scomodo da trasportare. Oltre a questo c’era da badare ai cani randagi che ogni volta ci abbaiavano dietro, ai lupi che ululavano nei pressi, ai topi campagnoli, alle vespe e soprattutto alle vipere tra i sassi. Tant’è che un giorno fummo assaliti da una nuvola d’api, eravamo arrivati quasi a destinazione, e per divincolarci lasciammo di botto il secchio che si rovesciò addosso a un mio amico bagnandolo tutto; così perdemmo tutta l’acqua, tanta fatica per niente. Un’altra volta una cornacchia simile a un’aquila in picchiata si avvicinò pericolosamente a noi per bere un po’ d’acqua che respingemmo tirandole contro una pioggia di pietre ed anche qui il secchio ci cadde dalle mani. Poi fu il caso di una serpe molto lunga e grassottella che ci seguì fino alla nostra piantina. Nessuno di noi se ne era accorto, troppo impegnati con il recipiente, l’intrusa ci passò fra le gambe strisciando silenziosamente con il fare quasi indifferente. Ma al grido: il serpente, la serpe! Saltammo tutt’insieme dandocela a gambe giù per la scarpata con il cuore in gola, inutile negarlo avevamo veramente avuto una gran paura, difficile da dimenticare.
Lo scampato pericolo ci rese più guardinghi e comunque ci diede forza per continuare nel nostro intento e cioè di proteggere il nostro piccolo pino, ripararlo dal vento con dei massi, annaffiarlo quando ci si riusciva e parlarci anche. Sembrerà strano, ma ormai in confidenza, ci dicevamo di tutto; della nostra impresa, delle avventure e soprattutto il perché non si sbrigasse a crescere. In effetti la piantina la vedevano sempre come il giorno prima, d’altronde erano passate solo due settimane, ma possibile nemmeno un centimetro? Presi dallo sconforto ci convincemmo che ce l’avrebbe fatta da sola…e un giorno forse quello sarebbe stato il nostro albero.
E casomai con questo racconto ci vinci un concorso e una borsa di studio.
Fonte: Raccolta “Pagine di gioventù” (1959 – 1979) di Pelino Quaglione