Nei primi anni ’60 la nostra infanzia andava consumandosi tra sfide a pallone a “Sant’Angiula” e le giocate a palline sul piazzale antistante la scuola. Sulla scia del romanzo ungherese “I ragazzi della via Paal” di Ferenc Molnar, pubblicato a puntate su una rivista nel 1907 e destinato agli adulti come denuncia della mancanza di spazi per il gioco, noi “ragazzi dell’edificio” presso la scuola elementare di Scanno ci preparavamo, al calar della sera, a un’insolita quanto strana battaglia.
In ottobre, nell’attesa delle Glorie di San Martino, passavamo i pomeriggi a duellare con false spade di legno (certe botte sulle mani!), a colpirci con le frecce fatte con i ferri degli ombrelli e a tirarci appuntiti coni di carta con le cannucce usate per gli impianti elettrici. Per fuggire la consuetudine e la noia, quell’autunno ci inventammo una specie di guerra tra bande. Già esistevano alcuni gruppi distinti: quelli dell’Ara, quelli di Sant’Antonio, la classe 4^ contro la 5^ e quelli più grandi delle scuole medie che ci fregavano sempre il pallone. In fretta e furia si allacciarono alleanze e si stabilirono le postazioni. C’è da dire che il piazzale dell’Edificio in quell’occasione era pieno di “serre” di legna pronte per la segagione e la rimessa, ben allineate e segnate dai rispettivi proprietari. Non ci pensammo due volte e quindi ce ne servimmo totalmente per costruire forti e fortini, palizzate e feritoie da dove lanciare le “bombe” senza essere colpiti. E si! le “bombe” dovevano essere tantissime e le munizioni non dovevano mancare, come anche i combattenti. In verità nessuno si tirò indietro e, considerando che allora le classi scolastiche erano numerosissime, si raggiunse un numero altissimo di partecipanti a cui si unirono anche quelli delle medie. L’appuntamento era per le 14,00, dopo l’orario delle lezioni, e la missione era quella di rastrellare più castagne selvatiche possibili, da ripulire l’intero viale del lago. Non erano ammesse le pietre o frecce infuocate…e meno male! Ma si potevano usare le fionde, le balestre e anche le catapulte. I capi non persero tempo a studiare strategie e tecniche d’assalto ma, come vedremo, non tennero conto di moltissime cose, soprattutto dell’ambiente circostante.
Il tempo passava velocemente e l’ora dell’attacco si avvicinava sempre più. Ovviamente l’oscurità della sera avrebbe contribuito a coprire eventuali punti deboli e, nello stesso tempo, avrebbe favorito magari qualche incursione a sorpresa fra le linee nemiche. Alcuni dei ragazzi furono sorpresi a fare merenda con pane e strutto, mentre altri si rifocillavano con delle mele ammaccate rubate un attimo prima lungo la strada che va a Sant’Egidio. Non subirono punizioni particolari ma furono subito mandati in prima linea. Le sentinelle al mucchio di castagne, che man mano s’ingrandiva, si davano il cambio regolarmente. L’attesa aumentava e con lei il nervosismo di essere magari richiamati a casa dai propri genitori, così da dover rinunciare a cotanta impresa, dopo tutta quella fatica. Alcuni gruppi avevano previsto anche qualche via di fuga costruendo delle gallerie fatte di cartoni per fronteggiare gli attacchi ravvicinati. Nessuno, però, si sognò mai di abbandonare le postazioni poiché l’impegno preso era preso, altrimenti si diventava vigliacchi, compresi quei pochi che, con la scusa di andare al bagno, non fecero più ritorno. Ed eravamo comunque tanti, tantissimi: forse 300/350 con oltre 200 castagne a testa…provate a moltiplicare…una montagna di castagne, mai vista. Ognuno di noi pensò che ci saremmo sicuramente divertiti ma non tutto andò per il verso giusto.
Nel mentre già si alzavano i cori e gli sfottò che aumentarono di botto quando sopraggiunsero i soliti ritardatari “secchioni”, fino ad allora assenti per fare i compiti. Tutto sommato comunque facevano comodo come rinforzi ma anche loro furono schierati nelle linee avanzate e con poche “bombe”, poiché non avevano partecipato alla raccolta. Ad un tratto ci sentimmo dire: chi ha paura alzi la mano? Un mio amico le alzò tutte e due. Non ebbe nemmeno il tempo di tirarle giù che cominciarono ad arrivare le prime castagnate tanto per sondare il terreno. La nostra risposta fu immediata e perentoria come anche la raccomandazione di non sprecare i colpi. Pian piano e con l’aumentare dell’oscurità, gli attacchi però diventarono sempre più ravvicinati fino a scatenare una fittissima pioggia di castagne simile ad una improvvisa e fastidiosa grandine estiva. E dalla pioggia si passò ad un vero e proprio forte temporale con fulmini e saette, tanto rumoroso da sembrare un’immensa cascata di vetri in frantumi. L’illusione in proposito durò molto poco e fu subito fugata. Infatti, richiamati alla realtà, capimmo che parecchie finestre della scuola erano ormai sprovviste di vetri. Pertanto, due fazzoletti bianchi, annodati ad un bastone, decretarono la fine della guerra. Nei giorni a seguire si contarono i danni e tutti i nostri genitori furono convocati in Comune per il risarcimento. In un primo momento qualcuno di noi cercò di negare la sua presenza ma alla fine fu costretto a confessare. C’era poco da nascondere poiché, per diversi giorni a seguire, molti di noi si portarono dietro, in bella vista, tanti di quei lividi bluastri da fare ribrezzo. A confronto, la succitata guerretta a colpi di farina dei “Ragazzi della via Paal”, ci sembrò veramente poca cosa.
Fonte: Raccolta “Pagine di gioventù” (1959 – 1979) di Pelino Quaglione