Era il 1966. I nostri banchi di scuola ogni anno si facevano sempre più stretti. Stavamo davvero diventando grandi, anche se solo dodicenni. Tonino aveva già qualche pelo sulla “zeppetta” e faceva “ju brafante”, mentre Angela aveva già tre, quattro fidanzati. I giorni passavano lenti mentre si continuava ad ascoltare gli Equipe 84 che cantavano “Io ho in mente te” e i Rockers con “Che colpa abbiamo noi”.
Agli inizi di novembre si entrava in zona San Martino e l’unico e importante impegno di quel momento non era altro che quello di andare a raccogliere le “ceppe” per le Glorie. Come fare per eludere il controllo dei nostri genitori? Come fare con i panni sporchi? Bisognava, quindi, escogitare continuamente un piano credibile di cui non si doveva fare cenno a nessuno; nemmeno al proprio miglior amico, perfino alla persona più cara. Alcuni di noi erano già addirittura fratelli di sangue, nel vero senso della parola, un patto siglato con un taglietto sul braccio come avevamo visto fare nei film di indiani e cowboys. Un piano che ci doveva mettere al sicuro per tutto il periodo, magari inventarsi un lavoro di gruppo per la scuola da svolgere presso la biblioteca comunale e poi procurarsi altri vestiti di ricambio.
Ma il vero piano segreto non era il nostro ma quello dei ragazzi più grandi di San Martino, per i quali, noi più piccoli, dovevamo solo che stare zitti e trasportare la legna alla grotta, se no ci cacciavano via. Non si sapeva nulla, niente di niente, ma mi era capitato di vedere i cosiddetti capi alquanto nervosi e su di giri sul da farsi. Sembrava che ci fossero dei problemi: si calcolavano i rischi, la tempistica, i vantaggi, fino ad arrivare a chi ci stava e chi no. La verità è che non si poteva scherzare con certe cose se poi si parlava di una missione in terra nemica e cioè a Cardella dove i capi venivano ritenuti “terribili”, superiori perfino ai “selvaggi” della Piaja. L’altra verità è che noi di San Martino eravamo in ritardo; le “ceppe” erano poche e bisognava tagliare ancora i “palanconi”, mentre Cardella si preparava già a piantarli. Quindi, se loro ce li avevano già, avremmo potuto fregarglieli? Ma che brutta idea da cancellare! In fin dei conti, però, non c’ero andato tanto lontano, visto che qualcosa di strano in tal senso sarebbe sicuramente accaduta nei giorni a venire. E più che di giorno, era di notte che si doveva agire, nell’oscurità assoluta, in assenza della luna, quando in effetti non ti poteva vedere nessuno. Infine dai loro gesti, mi era sembrato di capire, che sarebbe stato indispensabile tingersi di nero il viso e le mani per rendersi ancora maggiormente irriconoscibili.
Alla vigilia della vigilia dell’undici novembre e cioè, tra il nove e il dieci nel cuore della notte, il piano stava per essere messo in atto: un gruppo di quattro persone si apprestava a raggiungere Cardella per tagliare di netto i “palanconi” che tenevano la Gloria. La sorpresa delle sorprese fu che i “Cardellini” erano lì pronti, come se stessero aspettando qualcuno, ma per fortuna non si accorsero di nulla favorendo l’inevitabile ritirata. Ai miei intrepidi contradaioli ciò non gli sembrò normale, due potevano essere le cose: o qualcuno aveva fatto la spia, o anche quelli di Cardella si stavano preparando per un assalto, probabilmente alla Piaja, visto che questa da diversi anni era la più forte e vinceva sempre. Forse più la prima, che la seconda.
Fonte: Raccolta “Pagine di gioventù” (1959-1979) di Pelino Quaglione