I capi della contrada di San Martino ci avevano assicurato che potevamo rimanere fino alla prima “gloria”. Infatti, non essendo propensi ad assumersi nessuna responsabilità nei nostri confronti in quanto minorenni di appena dodici anni, decisero che massimo alle ore 20,30 dovevamo sloggiare. Per consolarci, quella volta ci affidarono un compito particolarissimo che precludeva ad un’azione strategica che avrebbe portato, se fosse andato tutto secondo i piani, non poco vantaggio alla nostra contrada.
Da diversi giorni, dopo la scuola, ci recavamo sul posto contenti di inoltrarci nel bosco dopo aver sostato nei pressi di un’alta roccia sulla cui sommità si era formata una piccala buca tanto perfetta, simile ad un calice, da cui prendevamo un po’ d’acqua. Il fatto, di per se quasi incomprensibile, era per noi una specie di rito benaugurante per la raccolta del legname e protettivo affinché nessuno si facesse male. Arrivati sani e salvi a un solo giorno dalla fatidica vigilia con le glorie ormai pronte, i più grandi ci chiamarono a raccolta per spiegarci le loro intenzioni, in pratica dovevamo costruire delle torce arrotolando del cartone impregnato di cera sciolta. La cosa ci sembrò un po’ strana e anche complicata; non era affatto semplice vedersela con un mucchio di candele da squagliare, vuoi per la puzza e perché scottavano. Ma quando ci fu detto che saremmo stati noi i protagonisti, ci demmo subito da fare talmente euforici che presto ognuno ebbe già pronta la sua bella fiaccola. Tutto questo però doveva rimanere necessariamente un segreto.
La mattina della festa a scuola, un po’ tutti disegnammo le rispettive glorie con i soliti colori del fuoco, con la firma e la data: 10 novembre 1966, ma di fretta poiché era ora di andare. Gli ultimi ritocchi riguardarono non tanto la rifinitura della gloria principale ma la messa a punto del cosiddetto “inganno” e in particolare ciò che dovevamo fare noi ragazzi. Il piano di fatto prevedeva che all’accensione della prima gloria, e cioè dell’inganno, dovevamo strillare a più non posso inneggiando a San Martino che faceva fuoco, intervallato ad altri cori contrari a Cardella e la Plaja come se si trattasse della gloria principale. Giunto il momento ci comportammo da veri attori e, per rendere il tutto assolutamente veritiero, intorno alle 20,25 nel buio più completo, accese le famose fiaccole, in fila indiana ci preparammo a ridiscendere il sentiero verso casa con l’intento di far credere che era tutto finito. Alla vista di quella Gloria, in verità alquanto minuta e di poco durata, e alla nostra dipartita, le altre due contrade inneggiarono alla loro ormai possibile vittoria non avendo idea, forse, di quello che sarebbe successo dopo.
Così come il tempo passava, così aumentava l’attesa. Di botto, alle 21,30, accese prima Cardella e poi la Plaja, all’unisono altre grida di giubilo, mentre San Martino taceva. Lassù non si sentiva e non si vedeva nessuno e il freddo si faceva pungente. Per le stradine di Scanno i commenti andavano esaurendosi rimarcando principalmente la delusione generata dalla nostra contrada nettamente inferiore alle attese. Non era possibile una così brutta figura. Sconsolati stavamo per perdere ogni speranza, ma noi sapevamo e in cuor nostro aspettavamo che da un momento all’altro sarebbe successo qualcosa. Gli sguardi all’insù avevano percepito dei piccoli barlumi, dei luccichii si stavano muovendo ora sulla destra, ora in alto. Ogni tanto si facevano più intensi, alla fine ben visibili e accecanti.
Ed eccola finalmente la grande gloria di San Martino a illuminare completamente le montagne e l’intero paese. Erano da poco passate le 23,00, molte persone riuscirono da casa, l’inganno aveva funzionato alla perfezione e la sorpresa fu talmente forte che ne andammo fieri a testa alta per diverse settimane, come se tutto il merito spettasse a noi e solo a noi.
Fonte: Raccolta “Pagine di gioventù” (1959-1979) di Pelino Quaglione