Grazie alla squisita disponibilità di Cesira, eravamo riusciti a rimediare due o tre cassette vuote di cartone dei pelati, essenziali per trasportare a valle i pezzi di muschio sezionati e raccolti in quel del Carapale. Natale stava per arrivare e fin dai primi di dicembre la maggior parte dei miei compagni si stava già organizzando per fare il presepe. Nelle case e nei negozi si cominciavano a vedere i primi alberi “finti” di Natale, e cioè quelli sintetici fatti di plastica che per noi ragazzi non avevano alcun significato, desiderosi come al solito di procurarci tutto da soli. Infatti oltre al muschio, si andava alla ricerca di alberelli di agrifoglio, di rametti e corteccia di pino, di piccole pietre appiattite di fiume nonché di qualche tavola liscia da coprire in parte con la carta pesta e un po’ di paglia per costruire la capanna. A volte non era affatto facile reperire tutto questo materiale poiché spesso c’era la neve ed il terreno era ghiacciato.
Ma non era il caso di perdersi d’animo e presi dall’euforia, muniti di slitte, di solito si riusciva a trovare quasi tutto verso la pineta, non tanto per il nostro presepe di casa ma soprattutto per quello grande della chiesa madre; sicuramente il nostro parroco don Manfredo avrebbe ricambiato con qualche mostacciolo. Quindi, tanto per l’invitante ricompensa, quanto per il nostro spirito d’avventura, ognuno di noi aveva dato la propria piena disponibilità. E tutti insieme, con qualche botta rimediata causa scivolate varie, riuscimmo a fatica a riportare alla sacrestia diverse scatole zeppe di muschio. A missione compiuta, si sperava che ne avanzasse un po’ per casa, se non altro per non ritornare di nuovo al Carapale.
Finalmente potevamo mettere in opera ciò che avevamo imparato fin dai primi anni d’asilo e solo immaginato; cioè potevamo da soli ricostruire quel paesaggio che vide la nascita di Gesù. Predisposta la base, di solito: o vicino al camino o alla stufa, si cominciava ad ammucchiare dei fogli di giornale per fare le colline da ricoprire con il muschio, con in mezzo una vallata e un fiumiciattolo di carta stagnola. Sullo sfondo si posizionava un poster raffigurante il cielo stellato e come neve finta si usavano dei piccoli fiocchi di cotone da appiccicare con colla di farina. Poi, dopo aver aperto con cura la valigia che conservava tutto il necessario, si passava a collocare le casette fatte con il compensato e sulla soglia sistemavamo le varie statuine di creta o di gesso che rappresentavano i cosiddetti pezzi del presepe: il pescatore, il falegname, il fabbro, il fornaio, la lavandaia, l’immancabile ciabattino e quindi i pastori con le loro greggi seguite dai cani, ognuno con il viso rivolto verso la capanna della natività. Ed è proprio su questa che si concentravano tutte le nostre attenzioni: la sua grandezza, il tetto con gli angeli e la stella cometa, la parte interna con il bue e l’asinello e per finire la sacra famiglia con Giuseppe e Maria in bella vista, con al centro la mangiatoia pronta ad accogliere il bambinello.
A pensarci bene anche Scanno fino a quei primi anni ’60 non era altro che un grande e suggestivo presepe con gli animali per strada e le sue luci fioche e tremanti. Similmente anche noi con una sola lampadina pitturata di vernice rossa, nascosta dentro la capanna, riuscivamo a illuminare tutto il presepe, ma l’accendevamo di rado poiché si surriscaldava facilmente, però risultava indispensabile per creare quell’atmosfera di pace e serenità, soprattutto quando faceva buio.
Dentro casa si respirava un’aria diversa, come dire più calda nonostante il freddo invernale. L’ospite e la sua famiglia erano di quelli importanti, da vegliare e pregare affinché ci proteggessero. A Lui le lodi e i regali dei re Magi, sistemati dapprima in lontananza e poi fatti avanzare di un passettino alla volta giorno dopo giorno. Il mistero della natività si ripeteva così ogni anno grazie a San Francesco che, attraverso l’umile presepe, volle insegnarci quanto fosse importante rievocare la nascita di Gesù. E la festa si completava con i regali di Natale appesi a un piccolo abete addobbato con qualche caramella, dei mandarini e alcune cioccolate, inoltre coi biscotti, le ciambelle e le “manzule ratterrete” fatte in casa. E prima della messa di mezzanotte si giocava a carte e a tombola in famiglia con i ceci e i fagioli a segnare i numeri che uscivano, facendo attenzione a non far spegnere il fuoco. La notte di Natale c’era permesso di rimanere svegli fino a tardi, ansiosi di assistere alla nascita del bambinello e felici di vedere il nostro presepe finalmente completo con tutti i suoi protagonisti; mentre fuori in silenzio, luccicante ed armoniosa, come per magia scendeva lieve la neve.
Fonte: Raccolta “Pagine di gioventù” (1959-1979) di Pelino Quaglione