L’allarme più forte, l’occupazione: Nel 2022, l’Abruzzo si colloca all’ultimo posto tra le regioni italiane in termini di variazione percentuale degli occupati. In un anno ci sono oltre 10.000 occupati in meno, con una flessione del 2%, differentemente da quanto avviene in altre regioni che hanno performance positive, come Puglia (+5%), Campania (4,1%), Emilia-Romagna (+3,3%) e Toscana (+1,4%). Non migliora neanche la disoccupazione. Il decremento registrato segna un passo più lento, pari al 3,3%, ben sotto il valore nazionale pari al 12,1%. Secondo l’aggiornamento congiunturale dell’Economia in Abruzzo redatto dalla Banca d’Italia, anche il ricorso agli ammortizzatori sociali si è mantenuto comunque su livelli quasi quattro volte superiori a quelli del 2019, anno pre-Covid, che fotografa una fase di difficoltà del tessuto produttivo abruzzese.
Pensionati/occupati: Un dato assolutamente allarmante, che si affianca alla decrescita demografica e alla denatalità, è quello che emerge dai dati INPS e riguarda il numero delle pensioni erogate agli abruzzesi (517 mila assegni) che ha superato di 33 mila unità la platea costituita dai lavoratori autonomi e dai dipendenti occupati nelle fabbriche, negli uffici e nei negozi (484 mila addetti), con l’Aquilano maglia nera d’Abruzzo, con un gap da colmare di 14mila unità.
Sicurezza sul lavoro: Nel 2022, crescono gli infortuni registrati dall’INAIL. Un dato che si attesta a 14.774, un +4.293 in più rispetto all’anno precedente, con la provincia di Chieti in testa a questa triste classifica, seguita da Teramo e Pescara. Scendono, invece, infortuni mortali, ma solo perché scendono quelli attribuibili alle infezioni da SARS-CoV-2.
Fondi europei: L’Abruzzo non eccelle neanche sui Fondi Europei, che, insieme ai fondi del PNRR, potrebbero costituire un volano per la crescita sia economica che occupazionale. Il ciclo di programmazione 2014/2020, infatti, nonostante l’allargamento delle maglie di spesa consentito dall’UE in risposta alle crisi nel contesto dell’epidemia COVID-19, l’Abruzzo resta nelle retrovie anche in termini di capacità di spesa, con circa 420 Mln ancora da spendere. Una fotografia piena di ombre che non dà certezze per il futuro né incentivi a chi sceglie di formarsi e restare dov’è nato.