Il Pontefice ha indicato tre “elementi” del lavoro giornalistico, “che forse si usano sempre di meno, ma che hanno ancora tanto da insegnare: taccuino, penna e sguardo”. Papa Francesco ha ricevuto in udienza una delegazione del Premio Biagio Agnes. Ecco il discorso che il Pontefice ha rivolto ai presenti:
Gentili Signore e Signori, benvenuti! Saluto la Dottoressa Simona Agnes, il Presidente Dottor Gianni Letta, i membri della Giuria e tutti voi presenti, che a vario titolo siete impegnati nell’ambito della comunicazione. La Fondazione che promuove il Premio Internazionale di giornalismo e informazione porta il nome di Biagio Agnes, noto giornalista italiano, protagonista di rilievo della RAI, difensore del suo servizio pubblico, capace di intervenire con saggezza e decisione a garanzia di un’informazione autentica e corretta.
Il Premio è giunto alla quindicesima edizione: un arco temporale che fotografa i grandi cambiamenti tuttora in corso e permette, allo stesso tempo, di porre le basi per uno stile che trovi in Biagio Agnes uno dei suoi ispiratori. In questo senso vorrei anche leggere la vicinanza a questa iniziativa da parte della RAI – qui rappresentata dai suoi vertici – e da qualche anno anche di Confindustria. Solo insieme, ciascuno con le proprie specificità e prerogative, si può disegnare un orizzonte di speranza.
È il lavoro quotidiano del giornalista, chiamato a “consumare le suole delle scarpe” o a percorrere le strade digitali sempre in ascolto delle persone che incontra. «Il giornalismo, come racconto della realtà, richiede la capacità di andare laddove nessuno va: un muoversi e un desiderio di vedere. Una curiosità, un’apertura, una passione» (Messaggio per la 55ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 23 gennaio 2021). È quanto viene sottolineato anche dalla Giuria con il Premio reporter di guerra: un’attenzione che, nel raccontare la tragedia e l’assurdità dei conflitti, fa sentire tutti parte di una medesima sofferenza. Vorrei indicare, al riguardo, tre “elementi” del lavoro giornalistico, che forse si usano sempre di meno, ma che hanno ancora tanto da insegnare: taccuino, penna e sguardo.
Taccuino. Annotare un fatto comporta sempre un grande lavorio interiore. Lo si appunta perché si è testimoni diretti oppure perché una fonte, che si ritiene attendibile, lo riporta aprendo poi alla verifica successiva. Il taccuino ricorda l’importanza dell’ascolto, ma soprattutto del lasciarsi trafiggere da ciò che avviene. Il giornalista non è mai un contabile della storia, ma una persona che ha deciso di viverne i risvolti con partecipazione, con com-passione.
Penna. Si usa sempre di meno, sostituita da mezzi più avanzati, eppure la penna aiuta a elaborare il pensiero, connettendo testa e mani, favorendo i ricordi e legando la memoria con il presente. La penna evoca il lavoro artigianale cui il giornalista è sempre chiamato: si prende la penna in mano dopo aver verificato i dettagli, vagliato le ipotesi, ricostruito e appurato ogni singolo passaggio. In questa tessitura agiscono insieme l’intelligenza e la coscienza, toccando le proprie corde esistenziali. La penna richiama così l'”atto creativo” dei giornalisti e degli operatori dei media, atto che richiede di unire la ricerca della verità con la rettitudine e il rispetto per le persone, in particolare con il rispetto dell’etica professionale, proprio come ha fatto Biagio Agnes.
Sguardo. Taccuino e penna sono semplici accessori se manca lo sguardo sulla realtà. Uno sguardo reale, non solo virtuale. Oggi, più che in passato, si può esserne distolti da parole, immagini e messaggi che inquinano la vita. Pensiamo, ad esempio, al triste fenomeno delle fake news, alla retorica bellicista o a tutto ciò che manipola la verità. Serve uno sguardo attento su ciò che avviene per disarmare il linguaggio e favorire il dialogo. Lo sguardo deve essere orientato dal cuore: da lì «scaturiscono le parole giuste per diradare le ombre di un mondo chiuso e diviso ed edificare una civiltà migliore di quella che abbiamo ricevuto. È uno sforzo richiesto a ciascuno di noi, ma che richiama in particolare il senso di responsabilità degli operatori della comunicazione, affinché svolgano la propria professione come una missione» (Messaggio per la 57ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 2023).
Ansa