Se ne sente la mancanza, sicuramente sì! Manca la sua presenza, possente e per niente ingombrante, con il suo zuccotto di lana rosso, vicino al grosso caldaio fumante fuori la chiesa di Sant’Antonio Barone, in occasione della festa della benedizione degli animali, la mattina del 17 gennaio. La preparazione delle “sagne con la ricotta” era per Gregorio un rito cui non poteva assolutamente mancare…
“Non bisogna mai essere condizionati dal mestiere che si fa, soprattutto quando c’è una certa cultura borghese che tende a ridurre e a sminuire il valore di un pastore che è il vero custode, di fatto, dell’ambiente naturale, sociale e soprattutto dell’insediamento sostenibile che dura da millenni”. L’eredità di Gregorio Rotolo, prematuramente scomparso, pastore e casaro di fama, autentica icona della pastorizia abruzzese i cui formaggi sono diventati famosi in Italia e nel mondo, secondo Nunzio Marcelli (nella foto i due insieme) è quella di un pastore fuori dal gregge, di un uomo che ha dimostrato come la montagna non è solo abbandono, valorizzando con la propria iniziativa un intero territorio.
“La storia di Gregorio”, rileva Nunzio, che ne è stato amico fraterno, “ribadisce, se ce ne dovesse ancora essere la necessità, che la conservazione ambientale passa da queste forme e non per delle sovrastrutture create ad hoc. Quali? Organismi burocratici e amministratori, ho già molti nemici…!”, dice senza voler essere ancor più esplicito. “Su questo con Gregorio divergevamo”, ammette, “perché lui da buon imprenditore era un conciliante, ma questo non sminuisce certo il suo messaggio. La sua bonarietà non significa che volesse dire condivisione e consenso per ciò che era stato fatto. Rivendicava con forza il ruolo sociale dell’attività che conduceva. È stato una sintesi tra una nuova visione della pastorizia e il recupero delle pratiche culturali e allevatoriali del passato”. Pastore anche lui, laureato in Economia con, tra gli altri, Federico Caffè, con una tesi sul recupero delle aree marginali attraverso la pastorizia, Nunzio Marcelli s’ispirò proprio all’esperienza di Gregorio per il suo conclusivo lavoro accademico: “L’aver trovato Gregorio – ricorda – era un po’ la conclusione di questa mia teorizzazione perché rappresentava benissimo il modello a cui mi ero ispirato per la tesi”. Fondatore negli anni ’70 – in pieno boom economico – della cooperativa Asca con l’obiettivo di recuperare le terre incolte attraverso l’allevamento e il pascolo, Nunzio parlando con Virtù Quotidiane è un fiume in piena: ricorda le battaglie fatte assieme a Gregorio, il pionieristico progetto “Adotta una pecora” che in cambio delle spese di manutenzione e di allevamento, consente di avere prodotti a filiera corta e contribuire alla salvaguardia della porzione di territorio che presidia, senza risparmiare critiche alla politica e alle organizzazioni di categoria. “Dato il suo acume, contrariamente ad un carattere tipico degli allevatori di essere refrattari alle innovazioni, Gregorio mi ha seguito molto ed è iniziata una nostra ‘convivenza’”, racconta. “Rispetto alla figura dell’allevatore, ha avuto una grande disponibilità a cambiare e a vedere in modo diverso il ruolo. Ero un po’ il suo ideologo, poi lui ha preso forza per la sua grande empatia che è riuscito a sviluppare e le grandi doti comunicative, rimane un fenomeno a tutti gli effetti”. “Parlare di physique du rôle è riduttivo. È stato un pastore fuori dal gregge, con una capacità di osservazione e interpretazione del ruolo che non lo confondeva. È un esempio della imprenditorialità che può caratterizzare un operatore di montagna”, continua Nunzio. “Il fatto di trasmettere le sue conoscenze e anche l’immaginario che lui evocava ha contribuito non poco a riabilitare dal punto di vista umano le dotazioni della montagna. Ha fatto capire che la montagna non è solo abbandono e può dare luogo a 1.400 metri con pecore e altro a un’impresa con venti operai”.
Gregorio Rotolo ha “implementato il valore di un intero territorio”, con “una capacità reattiva in un contesto che i politici per primi non hanno mai saputo valorizzare, loro e le strutture ad essi connesse non ne hanno azzeccata una, non hanno mai provato a creare uno sviluppo. Hanno sì favorito la collocazione in ambito lavorativo ma era orientata più a riempire dei vuoti, nel parastato e nella nascente industria, ma di per sé è fallimentare”, dice Nunzio senza mezzi termini. Ricordando come “impiantare grandi colossi dell’elettronica all’Aquila o a Sulmona senza seguire un processo di valorizzazione ma solo di occupazione temporanea – non scordiamo i 25 anni di cassa integrazione di certe realtà, sarebbe da vergognarsi! – ha significato abbandonare un settore agricolo e zootecnico ridotto allo stremo”. “Non so se sia stato un vantaggio o uno svantaggio”, continua, “ma avendo fatto studi di economia e politica economica, sono stato sempre una voce critica nei confronti delle scelte e questo faceva sì che non venissi preso in considerazione, in qualche occasione si sono avvalsi della mia conoscenza ma gli piaceva solo l’aspetto folcloristico. Le organizzazioni professionali non sono state funzionali, perché non sono state capaci di utilizzare le risorse messe a disposizione e hanno sempre optato per scelte di comodo per collocare in pensione gli agricoltori e sé stessi”. E poi, l’affondo nei confronti delle scelte dell’industria e del commercio: “La cultura gastronomica italiana viene alimentata da materia prima estera, vale per il pomodoro come per la vergogna degli arrosticini, dove nel regolamento per il riconoscimento dell’Igp stanno prevedendo che siano escluse le carni di pecore abruzzesi”. “Gregorio lo diceva sempre”, ricorda Nunzio, “bastava che i ristoranti abruzzesi consumassero il 20-30 per cento di prodotti locali e noi non avremmo più un agnello a disposizione!”. “Un accordo di programma”, spiega, “avrebbe consentito di ripopolare i territori abruzzesi solo per la produzione di pecore. Se si fossero fatti degli accordi tra i trasformatori e gli allevatori, probabilmente questi ultimi avrebbero venduto ad un prezzo consono e i primi un prodotto di qualità. Si è invece preferito prendere sottocosto all’estero, con l’Abruzzo che per un periodo ha rappresentato la ‘discarica’ delle pecore di tutta Europa, dove avevano anche dei trattamenti sanitari discutibili. Questo ha ingenerato volumi di affari di miliardi di euro, a detta degli stessi trasformatori!”.
Infine, l’auspicio: “Esperienze abruzzesi come quelle di Gregorio o di Giulio Petronio”, dice, “non restino un esempio sterile ma siano alberi che diano i loro frutti e siano da stimolo per le nuove generazioni. Questi pionieri della pastorizia post moderna siano coronati dal successo nel dare seguito a un recupero della montagna etico, sostenibile e rispettoso, che consenta di continuare la permanenza della popolazione nelle aree interne”.
VirtùQuotidiane