Il gioco del calcio è stato sempre lo sport preferito dei ragazzi, non esclusi noi che abitavamo un piccolo e povero paese di montagna. Dopo la chiusura della scuola, e dopo aver aiutato i genitori in campagna (non è che guardavi, no, si lavorava e ci si stancava), ci ritrovavamo in piazza per giocare a pallone. Lì trascorrevamo tanto tempo ad allenarci per poi disputare le partite al “campo sportivo che si trova vicino al cimitero. Per noi piccoli, era una grande gioia giocare al campo sportivo. Era un sogno che ci faceva sentire grandi campioni. Ci sentivamo già tanto privilegiati quando andavamo a vedere i grandi che ci mandavano a raccogliere il pallone. Il campo non era proprio ben livellato, e prima dell’inizio della partita ogni squadra sperava di stare dalla parte più vantaggiosa nel primo tempo.
Le porte erano fatte con pali robusti ma non ben piantati e soprattutto non avevano la rete. Prima delle partite, con tanto entusiasmo e buona volontà, i giocatori disegnavano con il gesso usato dai muratori il campo come quello dei grandi stadi. Ma ci bastava tutto questo. Tra i ragazzi del paese si distinguevano quelli più bravi che potevano giocare in squadre di categoria. Ma voglio ricordare l’impegno e la volontà di tutti nell’allenarsi tutti i giorni, tanto da portare la squadra del nostro paese alla partecipazione del Torneo estivo di calcio, rientrante nelle manifestazioni sportive dell’estate scannese. Vi presero parte squadre del posto e di altri paesi della Valle del Sagittario e di Sulmona, che avevano giocatori molto bravi e che già partecipavano a tornei di categoria.
La nostra squadra, che tutti consideravano la Cenerentola e squadra cuscinetto del torneo, ci mise tanto impegno e tanta bravura accompagnata da tutto il paese a fare tifo, da risultare vincitrice del torneo sconvolgendo tutti i pronostici iniziali. La gioia per la vittoria contagiò tutto il paese che accolse i giocatori con grandi festeggiamenti. Le foto di quella vittoria, ancora oggi, fanno bella mostra nei locali dell’asilo. Ma quell’evento sportivo non fu un fuoco di paglia, perché la squadra di Frattura vinse anche un altro torneo negli anni successivi. Ma del calcio nel nostro paese dobbiamo ricordare le entusiasmanti ed accese partite che si giocavano nel periodo estivo, quando anche Frattura si riempiva di gente e si formavano più squadre.
Il giorno della festa di San Nicola si giocava sempre alla finale del torneo interno svolto con squadre di Frattura con quella sportiva rivalità che si protraeva in continue ed accese discussione nei giorni successivi. La partita di calcio aveva delle ritualità ben scandite: l’arbitro da sempre era Ricci Luigi che con professionalità, imparzialità e anche con severità stemperava le animosità della battaglia. Luigi, durante lo svolgimento della partita, in caso di interventi per gioco scorretto o nel caso in cui i giocatori non si fermavano dopo il fischio dell’arbitro, era di poche parole e, con un’abile capacità nel far trillare il fischietto faceva capire, senza parlare, i propri intenti.
Spesso il giorno della festa di San Nicola si disputava la partita con la squadra di Villalago che si risolveva in una partita che consolidava i rapporti di forte amicizia e cordialità tra i due paesi. Indipendentemente da chi vinceva, dopo la partita, c’era il cosiddetto “terzo tempo”, come nel rugby, che consisteva nel generoso rinfresco che i Fratturesi offrivano ai Villalaghesi, che ancora oggi ricordano la bontà dei panini con il prosciutto, rigorosamente casereccio tagliato con il cuore e con “l’accetta”.
Il gioco delle bocce per strada
Oltre la passione per il calcio, lo sport per eccellenza di Frattura, praticato da persone di tutte le età, maschi e femmine, è stato, ed ancora è il gioco delle bocce. E’ stato sempre praticato lungo le strade interne del paese. I giocatori avevano acquisito un’ottima padronanza dell’andamento della strada, soprattutto nel superare le asperità del percorso: pendenze, fossette e in certi punti profonde buche che richiedevano una certa abilità ai giocatori. Per fortuna il traffico non era intenso, altrimenti ci sarebbero stati continui stop per far passare le auto e le moto.
Spesso si facevano partite impegnative e l’accanimento dei giocatori spingeva a raggiungere risultati sempre migliori. Il momento “sacro” della partita era quello della misurazione della massima vicinanza della boccia al pallino; ogni squadra procedeva con il proprio metodo: palmo della mano, legnetto, spago, a occhio e quasi sempre c’erano discussione sull’oggettività o meno del metodo di misurazione concordato, ma alla fine…il gioco continuava.
Si svolgevano anche tornei. Si ricorda di una partita a bocce lungo la strada sterrata del paese durata ininterrottamente per due giorni e una notte consumando una pecora intera e tanto tanto vino. Appena sono stati aperti i bar, sono stati realizzati campi di bocce regolamentari e soprattutto ben curati, dando una regolarità alle fasi di gioco non più affidate alle condizioni della strada come prima. Dapprima erano solo gli uomini a giocare, ma da alcuni anni, numerose donne giocano e partecipano ai tornei organizzati soprattutto l’estate, quando il tempo è favorevole al gioco all’aria aperta e il paese si ripopola.
Dal libro “A raccontar Frattura” di Armando Iafolla e Luciana D’Alessandro