Il vigneto più alto d’Abruzzo nasce dall’intuizione di Gregorio Rotolo

Al momento potrebbe essere il vigneto più alto d’Abruzzo, al netto di altre esperienze che pure stanno prendendo piede ma devono ancora aspettare per entrare in produzione. È sulle montagne di Villalago (L’Aquila), a mille metri di quota, si raggiunge solo in fuoristrada e lo ha impiantato un quarantenne determinato a restare dove è nato, provando a offrire anche un futuro ai propri figli in aree marginali che da sempre soffrono spopolamento e carenza di servizi.

Così Raffaele Cosenza, che nella vita fa anche un altro mestiere, nel 2006 ha avviato un’azienda agricola con la coltivazione di ortaggi, cereali, patate e legumi, tra cui il fagiolo bianco di Frattura, varietà autoctona che cresce in alta quota, acquisendo i primi cinque ettari nei pressi dei ruderi dell’antico monastero benedettino di San Pietro, da cui l’attività ha preso il nome, fondato nell’anno 1000.

E proprio in quelli che erano gli orti dei religiosi, nel 2019 è arrivato il primo impianto di Chardonnay e Moscato nella sommità del terreno scosceso che si affaccia sulle Gole del Sagittario, spicchio d’Abruzzo reso celebre dalle illustrazioni di Escher, tra i borghi di Castrovalva, Villalago e Scanno. Ora, dopo le prime sperimentazioni seguite dal professor Leonardo Seghetti che hanno dato risultati particolarmente interessanti, il prossimo traguardo è la cantina che Raffaele insieme alla sorella Olga e alla moglie Claudia, che invece viene da una famiglia di agricoltori da generazioni, sta realizzando in una struttura recentemente acquistata alle porte del paese. Potrebbe essere in funzione già per la prossima, imminente vendemmia. Al più tardi lo sarà per il 2025. Così come in programma ci sono laboratori didattici e visite guidate, sia per far conoscere l’agricoltura di montagna sia per diversificare le attività.

Fu Gregorio Rotolo, secondo alcuni racconti – solo postumi alla sua prematura scomparsa – su esortazione di Domenico Pasetti, a incitare Raffaele a piantare la vite a Scanno. Il pastore-icona dell’Abruzzo, che era lo zio del cognato di Raffaele, era però troppo assorbito dalla sua azienda. Un percorso reso difficile dalle condizioni tipiche della montagna, basti pensare che dall’acquisizione del primo appezzamento – oggi gli ettari sono circa 20 di cui solo uno vitato – alla piantumazione del vigneto sono passati circa 8 anni, necessari a bonificare e preparare il terreno, coltivato fino agli anni cinquanta ma poi abbandonato.

Sperimentazioni che, nel 2022, hanno visto anche la produzione di uno spumante base Moscato. Sono tentativi, spiega il produttore, che si fanno anche per capire tempi di maturazione e fermentazione in una zona fuori dagli areali e in cui la vite non è certo di casa. E proprio per questo ci si è sbizzarriti nella scelta dei vitigni: lo Chardonnay, ad esempio, perché si presta sia alla vinificazione ferma che alla spumantizzazione e che, in base all’andamento della stagione può dunque in ogni caso trovare una vocazione.

“È un lavoro da matti, nessuno lo avrebbe fatto e io gli ho sempre detto che era una pazzia” dice Olga riferendosi al fratello. “Lo abbiamo fatto perché volevo restare qui”, dice lui con un pizzico di emozione. “Lavoravo a Pescara e avrei potuto costruirmi una vita lì, ma ho voluto mantenere le mie radici investendo sul territorio”. “La nostra nasce come un’azienda di montagna, per cui la mia idea sin dall’inizio è stata quella di coltivare e produrre tutto quello che offre la montagna”, aggiunge Raffaele, che porta avanti, tra le altre cose, un progetto con l’Università di Teramo sulla riscoperta della Russìa, grano duro siciliano, e che recentemente ha piantato anche degli alberi da frutta per poi produrre confetture. Non è stato semplice neanche creare il fondo, considerando l’alta parcellizzazione delle proprietà tipica delle aree interne e retaggio di epoche e politiche passate. Ma Raffaele ha avuto la fortuna di incrociare sul suo cammino un ingegnere romano, con origini per metà di Villalago e metà di Anversa, discendente del podestà di Villalago che, entusiasmato dal progetto, con l’evocativa esclamazione “la terra deve averla chi la lavora”, decise di vendergli il primo, importante nucleo.

Un’agricoltura che definire biologica appare persino riduttivo, in un contesto talmente incontaminato, lontano com’è da qualsiasi insediamento o coltivazione industriale, che non può non dare vita a prodotti sani e genuini. In un’azienda in cui si affaccia già la nuova generazione, con i giovanissimi Denise e Simone pronti ad affiancare mamma Claudia, papà Raffaele e zia Olga. 

Virtù Quotidiane  

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