La sera si adagiava sul lago come un manto di silenzio. La nebbia, quasi una confidente affettuosa, carezzevole e discreta, si insinuava tra le luci che in lontananza si rispecchiavano sulle acque scure, avvolgendo l’ambiente con delicatezza. La notte allontanava sempre più prepotentemente il crepuscolo, mentre lo spicchio di luna, avvolto dalle nubi, faceva da spettatore a un’atmosfera immobile, quasi a voler svelare una verità silenziosa: la fragilità umana; tanto effimera quanto il riflesso di una fioca lucina su acque placide.
Il borgo di Frattura, dall’alto della montagna, sembrava osservare incuriosito quell’uomo immobile, solitario, esposto al freddo pungente delle notti d’autunno inoltrato che guardano ormai con eroica rassegnazione al rigido inverno ormai alle porte. Il suo mantello nero sembrava fondersi con l’oscurità circostante, mentre i suoi occhi scrutavano le acque del lago con una solennità che sfidava le leggi della realtà.
La lanterna a petrolio che teneva tra le mani non era solo un semplice oggetto, ma la rappresentazione tangibile di una fede che, pur decisamente vacillante, mai si estingue del tutto.
“Perché sono venuto fin qui?” si domandava l’uomo, mentre il freddo penetrava nelle sue ossa. “Cosa si cela in questo silenzio, in questa nebbia che avvolge ogni cosa come un manto di segreti irrisolti?” Un peso gravava sul suo cuore, una malinconia misteriosa che non riusciva a decifrare. “Forse è la speranza di scoprire una risposta, un segno che mi dica che tutto questo ha un significato.”
Rifletteva sul percorso della sua vita, fatto di attimi di gioia e dolore che lo avevano condotto in quel luogo. La nebbia, con la sua presenza immanente, sembrava incarnare tutte le sue incertezze, i dubbi che lo avevano seguito come un’ombra. “La nebbia è come i miei pensieri,” mormorava tra sé, “confusi, indistinti, ma sempre presenti, come una verità. Poi, all’improvviso, il cielo esplose di luci colorate, mortaretti che giovani festaioli, nella casa sulla sponda opposta del lago, avevano acceso nel maldestro tentativo di animare il party e forse riscaldare l’aria sopra le loro teste, ma che ebbero il solo risultato di distogliere l’uomo dai suoi pensieri, come fossero un richiamo dal mondo superiore, il cui eco si dissolse piano, simile a una melodia che sbiadisce nel vuoto del ricordo. Nel silenzio che seguì, l’uomo e la nebbia divennero un unico corpo, un’immagine che non chiedeva risposte, ma che parlava di una verità che solo chi ha contemplato l’oscurità sa cogliere: che, anche nelle tenebre, esiste un faro di mistero, una luce da inseguire. Gli echi della festa in lontananza gli avevano lasciato un senso di speranza rinnovata, come se ad ogni passo compiuto si fosse avvicinato, seppur impercettibilmente, alla luce.
“È proprio questo il significato,” rifletté l’uomo, stringendo nelle mani la lanterna che, nel frattempo, emetteva gli ultimi rantolii di luce, prossima ormai ad esaurire le pochissime gocce di petrolio rimaste. “Non trovare risposte, ma continuare a cercare, a credere che, anche nel buio più profondo, ci sia sempre una luce pronta a rivelarsi.” La lanterna spenta, che stringeva con forza, divenne il simbolo della sua fede, una fede che, nonostante le difficoltà e le incertezze, non si era mai completamente estinta. “La fede è come questa lanterna,” pensò, anche quando sembra spenta…c’è sempre una scintilla pronta a riaccendersi.”
Benito Capobianco
P.S. Enzo! Ho anch’io una cappa nera come quella che indossano le persone rappresentate nell’immagine. Non sapevo di questa tradizione (“Le Chezette”) altrimenti avrei partecipato volentieri anche io. Grazie ancora per rendermi partecipe di tutte le cose belle e interessanti che riguardano il territorio di Scanno e Villalago.