I matrimoni si celebravano con un rito che metteva allegria a tutto il paese e coinvolgeva tutti. La mattina delle nozze nelle case degli sposi si preparava un ricco rinfresco con dolci, i cosiddetti rosoli rigorosamente fatti in casa, e gli immancabili confetti. Gli amici e parenti dello sposo si recavano nella sua casa e, dopo una prima abbuffata, andavano a prendere la sposa nella sua abitazione e con i parenti si continuava a brindare e a mangiare, e tutti insieme con un lungo corteo raggiungevano la chiesa. Uno scrosciante applauso salutava, all’ingresso della chiesa, la consegna del padre della propria figlia allo sposo. Solo a Frattura tra i paesi della vallata, in alcuni matrimoni di sposi benestanti, si salutavano i cortei con lo sparo di colpi di fucile in aria, annunciando l’evento gioioso. Non mancava nel corteo l’accompagnamento musicale dell’orchestrina che poi allietava il pranzo con armoniose canzoni, alcune anche con significato allegorico che preludevano alla vita della nuova famiglia che si costituiva: immancabile l’augurio a “figli maschi”. (oggi questo augurio di genere troppo specifico avrebbe fatto storcere più di un naso).
Celebrato il matrimonio, all’uscita dalla chiesa i giovani sposi lanciavano manciate di confetti per la gioia dei ragazzi che ne facevano avida raccolta. Quando si celebrava un matrimonio di famiglie benestanti, unitamente ai confetti, venivano lanciate monete di piccolo taglio e c’era la ressa per la raccolta non solo dai ragazzi, ma anche da più di qualche adulto. Il pranzo si svolgeva nelle case che avevano una capienza sufficiente non solo per ospitare tutti gli invitati, ma anche per accogliere quasi tutto il paese al ricevimento serale, che vedeva spesso anche la presenza di giovani di Scanno e Villalago che arrivano ben vestiti a piedi e, in molti casi, in quest’ occasione nascevano nuove conoscenze tra giovani che spesso portavano al cosiddetto fidanzamento ufficiale e poi al matrimonio. Tutto il necessario per il pranzo (bicchieri, forchette, coltelli, pentole di vario tipo e dimensioni), veniva messo a disposizione dalle famiglie del paese; la cuoca o il cuoco era coadiuvato da parenti e amici degli sposi che curavano la messa in tavola di cibo abbondante e vario. Non mancava mai il vino che veniva bevuto abbondantemente e che creava un clima brioso con continui “VIVA GLI SPOSI”. (oggi nei matrimoni si chiamano più volte gli sposi al “BACIO”, un po’ troppo per allora).
Durante il pranzo non mancavano i brindisi per gli sposi con tutti i convenuti in piedi alzando i bicchieri di vino in segno augurale e pronti a gridare fragorosi “URRAH!”. I brindisi erano affidati a provetti oratori, ascoltati in rigoroso silenzio, che si esprimevano in rime ben congegnate e spesso si sfidavano in tenzone poetica e dimostravano anche buone capacità oratorie e improvvisazione. Ancora oggi si ricorda l’originale brindisi del simpatico Sig. Elia Caputo e lo si riporta come segue: “Cristo creò la cresta alla gallina, al gallo lo sperone, la barba bianca fece alla caprina, le corna toste fece a u montone, u fazzulett fece alla donna, u cappiell a u uom p’ coprì el corna.”
Un momento particolare e veramente emozionante era riservato alla lettura degli auguri inviati agli sposi da parenti e amici che vivevano all’estero e non potevano partecipare alla festa. I loro auguri erano carichi di nostalgia per la lontananza dal loro paese e da tutti i paesani in festa: una commozione dei presenti che molti accompagnavano con sommesse lacrime. La festa di matrimonio non finiva con il pranzo, ma, dopo una necessaria pausa per sgomberare le stanze, si disponevano le sedie o tavole attorno al “salone” per il ballo, con i musicisti sistemati su alcuni tavolini. Tutti si scatenavano nei balli del tempo e c’era sempre qualcuno che ritenendosi intonato chiedeva di dedicare una canzone agli sposi. Il ballo riservava un significativo momento per augurare agli sposi l’indissolubilità del matrimonio, e mentre solo gli sposi ballavano, tutti gli altri li legavano in un abbraccio indissolubile con nastri di carta di vari colori (zagarelle).
I festeggiamenti si concludevano a tarda ora, dopo aver mangiato di nuovo tutto quello che non era stato consumato al pranzo. Poi, in corteo, con l’accompagnamento dei musicanti e di tanti improvvisati cantanti, si portavano gli sposi nella loro nuova casa e si rinnovavano gli auguri di una vita piena di felicità e di prole numerosa. Il corteo si scioglieva e ognuno ritornava nelle proprie case dopo una memorabile giornata di festa. Ma quando si era certi che tutti erano ritornati nelle proprie case e forse già dormivano “a quattro cuscini”, improvvisamente echeggiava nella notte fonda e spesso stellata, una serenata musicale proveniente da sotto le finestre della casa degli sposi. Nella nostra Frattura, a differenza dei paesi confinanti, il matrimonio si celebrava con tre feste distinte: la prima il giorno delle prime promesse; la seconda il giorno della celebrazione del matrimonio; la terza la domenica successiva a quella del matrimonio. Allora era usanza per gli sposi rimanere in casa per tutta la settimana successiva perché non si andava in viaggio di nozze e gli sposi rimanevano in casa per ricevere i regali da tutti gli invitati. Al termine della settimana di accoglienza a casa, la domenica, si concludevano definitivamente i festeggiamenti con la messa di riuscita ed il pranzo con parenti ed amici più stretti. Un musicante che più volte ha partecipato ai matrimoni di Frattura, ci ha raccontato quanto fosse sentita questa festa soprattutto nella sua ritualità: il ballo iniziava appena faceva buio, con il pienone di gente di tutte le età.
Intorno alle 21/21,30 di sera, la sala cominciava a svuotarsi soprattutto di uomini, e l’orchestra continuava a suonare. Passando il tempo con la sala quasi vuota, i musicanti chiedevano se la festa fosse finita e se potevano riporre gli strumenti e andare via. Si racconta che i musicanti chiesero a uno dei signori rimasti nella sala cosa fare. “Il signore si recò a parlare con una persona anziana che stava in sala e che, dopo un breve conciliabolo, rispose, anzi dispose per l’orchestra: “non vi muovete”. L’orchestra stette all’ordine, e dopo un po’, alla spicciolata cominciarono a rientrare gli uomini e qualche donna, e ripresero le danze che a Frattura terminavano sempre a notte fonda, spesso all’alba. Poiché questo svuotamento della sala da ballo si ripeteva a ogni festa, i musicanti si incuriosivano e chiedevano come mai ciò avvenisse: il motivo era che tutti si recavano nelle stalle ad accudire gli animali; questo rito era chiamato “stramare”.
La bellezza della tradizione del matrimonio a Frattura ha sempre mantenuto un rituale apprezzato, tanto che ancora oggi, pur se celebrato con altre modalità proprie di nuovi tempi, viene rievocato nelle manifestazioni estive con il costume come allora, richiamando l’attrazione di numerosi turisti che affollano le nostre località, Frattura in testa.
Dal libro “A raccontar Frattura” di Armando Iafolla e Luciana D’Alessandro.
Le foto della “Rievocazione del matrimonio fratturese” sono di Enzo Gentile.