Con l’arrivo della primavera, si tornava a giocare all’aperto. Riposte definitivamente le slitte nelle cantine, dopo l’orario di scuola e dopo aver pranzato in fretta e furia, ci si scapicollava di nuovo fuori di casa fino a sera, mentre alla radio andava la hit parade di Luttazzi con Lucio Battisti sempre al primo posto. Erano gli anni di “Fiori rosa, fiori di pesco”, “Il mio canto libero”, “Emozioni”, ecc. che tanto hanno segnato la nostra infanzia, per noi nati a metà degli anni cinquanta. Ed era anche il tempo della spensieratezza condita da un po’ di follia quando ci si attaccava ai cassoni dei camion in corsa o quando si faceva a gara nel fare pipì (il campanaro) a chi la mandava più lontano.
Oltre al pallone, in quanto a giochi non ci si poteva lamentare. Ne avevamo di fantasiosi e di lunga durata, verso i quali non c’era altro che l’imbarazzo della scelta da vivere tutta d’un fiato. Si andava dal correre dietro ad un cerchio accompagnato con un’asta di ferro dalla punta ricurva, alla “guerra” a colpi di piccoli coni di carta soffiati attraverso delle cannucce usate per gli impianti elettrici di cm 40 circa, qualcuno ne aveva anche due o tre legate insieme tipo mitraglia, al tanto odiato “scarica sacco” molto faticoso poiché bisognava caricarsi sul groppone l’intera squadra avversaria in una prova di resistenza. E poi a tappo e a bottoni per chi si avvicinava di più al muro, a “biccherucce”, giù per una discesa, dopo aver calciato un barattolo da andare a raccogliere mentre gli altri si nascondevano, quindi cercare di fare buona guardia affinché nessuno lo ribattesse di nuovo simile a tana libera tutti, alla cavallina fino allo stremo per le vie del paese, ai duelli con le spade di legno ad emulare Lancillotto e i cavalieri della tavola rotonda, al tiro a segno con gli archi e le frecce fatte da noi a caccia di cani e gatti, per finire con il gioco delle “palline” che consisteva nel tirare ognuno una piccola sfera di vetro verso una buchetta nel terreno così da dare, a chi si fosse avvicinato di più, la precedenza d’iniziare la gara. Il gioco richiedeva concentrazione e una tecnica del tutto personalizzata, bisognava essere capaci infatti di saper tenere la propria sfera tra il pollice e l’indice e farla schizzare tipo catapulta dopo aver preso per bene la mira, il fine ovviamente era quello di colpire la pallina dell’avversario e, se centrata, entrarne in possesso.
Talmente presi dalla voglia di vincere, e non mancavano le giocate a carte, si arrivava a sera senza accorgersene, per fortuna avvertiti dal suono dell’Ave Maria alle 17,00 ora di rincasare per fare i compiti del giorno dopo e principalmente per rispettare il volere dei genitori. Qualche volta però ci si attardava per finire la partita in corso, in quel caso erano guai, già sgridati da altri adulti incontrati per strada. Infatti, c’era un controllo molto serrato e molto rigido e funzionante a ragione che noi bambini dovevamo filare dritti e bene affinché non ci succedesse qualcosa di brutto, ne valeva il buon nome dell’intera comunità di una Scanno briosa, vivace e laboriosa, votata allo sviluppo turistico, in seno alla quale esistevano anche le ragazze, escluse dai nostri giochi, ma che cominciavano a farsi avanti e ad invadere i nostri pensieri. E s’iniziava a guardare anche le gambe delle signorine quando scendevano dalle cinquecento con le portiere che si aprivano a favore di vento, tanto imbranati da farcene accorgere ogni volta suscitando in loro qualche sorriso. Di solito, nell’imbarazzo più completo, se ne usciva guardando in alto facendo finta di fischiettare alle rondini in volo arrivate da poco, poi colpiti da uno schiaffo sulla spalla da qualche compagno, venivamo purtroppo richiamati alla realtà. Nel frattempo le ragazze si dilettavano a saltellare con la corda, alla campana e a palla avvelenata.
Le prime fidanzatine non tardarono a venire, si stava insieme senza saperlo; o si pensava di esserlo o se lo dicevano gli altri, ma giravamo ancora con i pantaloni corti e i calzettoni fino al ginocchio e loro ne sapevano già più di noi, sempre pronte a metterci in difficoltà rinfacciandoci il fatto di guardare ancora i cartoni animati. Attratte dai fotoromanzi, dai Pooh con “Piccola Ketty”, ecc. ci confondeva il loro strano modo di fare, quasi sempre emozionate tanto da esserne coinvolti; ai nostri occhi, forse colpa della primavera, belle ed attraenti come non mai.
Fonte: Raccolta “Pagine di Gioventù” (1959 – 1979) di Pelino Quaglione.