Il tutto ebbe inizio nel 1977 per fare qualcosa di buono, come il pane appunto. Si passò l’inverno e la primavera in allegria, provando e riprovando, ignari di come sarebbe andata a finire. Fare teatro, o almeno tentare, era sì un piacere ma anche una scommessa. Se si escludono infatti le sporadiche apparizioni sul palco dell’asilo a mo’ di cantilena, le recite sulla Passione di Gesù e un divertente musical, nessuno di noi aveva mai avuto esperienze di recitazione di un certo spessore, tanto più in merito al teatro di piazza. In ogni caso c’era da passare l’invero, ci piaceva stare insieme, e le prove erano quasi giornaliere. Cominciammo già da prima il periodo natalizio per arrivare ad agosto. C’era da concludere il testo e da curare principalmente il dialetto e la sua pronuncia. In proposito ogni riunione finiva sempre in risate ed era quasi sempre difficile andare avanti.
Allora decidemmo di affidarci a Cesidia, una splendida signora in costume scannese, che ci aiutò molto sulle intonazioni e sulle movenze, cosa non semplice da mettere in atto. E la situazione si fece ancora più difficile quando decidemmo di affidare la parte della madre ad un ragazzo (Pasqualino). Ciò poteva sembrare alquanto strano, di certo fu un azzardo, la preoccupazione maggiore era quella di cadere nel banale, ma bisognava pur provarci. Il copione, nella sua interezza, trattava le vicende di una qualunque famiglia scannese negli anni ’50 ed in particolare di una sola giornata di festa; dal primo mattino della sveglia fino all’arrivo in serata del fidanzato (il zito) di una delle figlie, con l’altra figlia ed il fratello a dare fastidio. Emblematico quindi il ruolo della madre poiché, in assenza del marito emigrato all’estero per lavoro, doveva assolvere ad entrambe le funzioni sia di mamma che di padre, considerando poi, anche la presenza in casa del nonno sordo e le incursioni delle Comari.
La rappresentazione, come fissato nel cartellone estivo, ebbe inizio alle ore 22,30 del 14 agosto del 1978 con il suono registrato delle campane a festa d’avanti ad un pubblico straripante, immaginate la nostra emozione. L’evento, preceduto dal Corteo Nuziale (ju Catenacce), sorprese non poco tutti i presenti e principalmente noi tutti se si pensa che ci eravamo buttati in questa avventura solo per gioco e per divertimento, avventura scaturita da una bizzarra idea di uno sconosciuto (rimasto tale) aspirante autore-regista che volle unire tradizione e teatro per omaggiare il Costume delle donne di Scanno.
Quel gruppo di ragazzi fece il resto dando vita alla prima commedia tragi-comica, in tre atti, rigorosamente in dialetto scannese, dal titolo: “‘na fescta alla Cudacchiola”. E proprio alla Codacchiola, in questa piazza bellissima ai piedi del paese, gremita all’inverosimile, si consumò l’impresa in un’ atmosfera quasi irreale che ci resta difficile descrivere. I nostri giovani sfoderarono un’interpretazione eccellente da veri professionisti, tanto da riprovarci (ci avevano preso gusto) anche l’anno dopo con il medesimo grande successo. In poche parole, da veri dilettanti fummo interpreti inconsapevoli del semplice vivere quotidiano di paese, della nostra vita familiare e delle nostre speranze.
In ordine d’apparizione: Emma Tarullo, Ilde Galante, Angelo (Tod) Torrisi, Pasqualino Galante (nel ruolo della madre), Alfonso Cocco, Maria Ines Marone, Lucia Galante (a lei il saluto più caro) e Piero Silla. Bravissimi e applausi per tutti: attori, sceneggiatori (Alfonso Fusco e Panfilo D’Alessandro), tecnici e partecipanti al corteo.
Quella sì che fu una serata indimenticabile piena d’emozioni …crescenti nel finale quando una delle figlie, all’improvvisa morte della mamma, decise di continuare ad indossare il nostro celeberrimo Costume scannese. E la tradizione continua…
Fonte: Raccolta “Pagine di gioventù” (1959 – 1979) di Pelino Quaglione