In piena estate 1979, la “Compagnia del Pane” tornava a esibirsi a distanza di un anno dal suo esordio. Il 15 luglio, infatti, con il patrocinio della Confraternita del Carmine, il Gruppo teatrale di Scanno presentava “alla Piazza Vecchia” il suo secondo ed ultimo lavoro dal titolo: “JU TARRAMUTE “.
Dopo il successo dell’anno precedente in agosto con “NA FESCTA ALLA CUDACCHIOLA”, la Compagnia e la sua nuova commedia in dialetto non delusero le attese realizzando un compito fra tutti: proiettare il Teatro di piazza quale forma d’arte nell’importante dimensione della pur semplice vita di paese. In questo progetto rientrava tutta la messinscena, dal testo facile e quantomeno realistico, ambientata in un periodo dove il ricco ancora si imponeva in maniera perentoria sulla classe meno abbiente. Ma fu il terremoto del 1706 a far da filo conduttore a tutta la storia. L’originalità del lavoro stava nell’aver dato vita a personaggi altamente veritieri e fortemente caratterizzati di fronte a un avvenimento così importante e definitivo come può essere un sisma dalla forza distruttiva, al fine di osservare con cinismo disincantato i processi mentali che in queste situazioni avvicinano gli uomini al paradigma della realtà. In questa rappresentazione, infatti, si vollero esaltare soprattutto le paure dei ricchi di perdere ogni proprio avere ed anche la rassegnazione dei poveri affidata al voler di Dio.
Ma il vero “terremoto” fu sicuramente il personaggio della Serva, squisitamente scannese, che con sagacia ed obiettività riuscì a trasmettere considerazioni e luoghi comuni dell’epoca illustrando sul palcoscenico, con tratto agile e leggero, situazioni quotidiane e contingenti in modo umoristico e paradossale. Inoltre, come accade nelle commedie tragicomiche, a completamento di quest’opera non poteva mancare l’intreccio amoroso e le “turbe” passionali della Signorina, ambita e desiderata ovviamente da un giovane Ricco ma distratta dalla voglia di crescere, appassionata e amante della natura, alla ricerca, guarda caso, di un amore tutto suo.
La vicenda non turbava minimamente il nonno Signorotto, costantemente impegnato nel conteggio delle tasse, delle proprietà e delle greggi, in quanto queste futili questioni di cuore gli potevano interessare molto poco se in effetti la terra avesse continuato a tremare di continuo. Ciò non bastasse, sua figlia la Signora, rimasta vedova, non mancava di assillano ed infastidirlo riportandogli puntualmente gli atteggiamenti e le decisioni sconsiderate della nipote, già promessa al Ricco con l’intento di rimpinguare ulteriormente le casse del casato, terremoto permettendo. E così, in un clima non certo tranquillo, ad ogni piccolo rumore provocato dalle continue incursioni della serva Clementina, si alzava alto il grido: JU TARRAMUTEEEE!…JU TARRAMUTEEEE! A cui seguivano lunghe risate fragorose da parte di un pubblico straripante che, oltre ad apprezzare la bravura dei giovani attori e ad ammirare il costume tradizionale indossato dalle numerose comparse, rimase estasiato dall’avvolgente scenografia che rappresentava fedelmente nei minimi dettagli una tipica piazzetta, con tanto di portale e fontanella, della nostra bellissima Scanno.
In conclusione non ci rimane che citare i nomi degli allora giovani protagonisti, rigorosamente in ordine di apparizione: Piero Silla e Angelo Torrisi nella parte dei due Cafoni (ne fu escluso uno per motivi di scena), Pasqualino Galante nell’importante ruolo della Serva, Alfonso Cocco nel Signorotto, Ilde Galante nella Signorina, Maria Ines Marone nella Signora, Domenico Gavita nella parte del giovane Ricco, scenografia di Panfilo D’Alessandro e Alfonso Fusco con la collaborazione di Emma Tarullo, Ascanio Di Franco e Antonio Di Croce, testo e regia di Pelino Quaglione.
Fonte: Raccolta “Pagine di gioventù” (1959-1979) di Pelino Quaglione
Foto: Filiberto Tarullo