Uno degli aspetti che caratterizza la gente di Scanno è quello di essere riusciti a custodire intatte nel tempo le sue antiche tradizioni. Il ritorno al passato si comincia ad avvertire non appena la prima neve cade sui tetti delle case creando un’atmosfera di silenzio e di sospensione. Un ciclo si chiude e un altro si apre con la festa di Sant’Antonio Barone. Tra le prime di carattere religioso del periodo invernale; un tempo sigillava l’inizio del nuovo anno.
La storia ci racconta di come, la mattina del 17 gennaio, l’agiata famiglia Di Rienzo, tra le più ricche del paese, dava disposizione che si collocasse fuori il portone del suo palazzo nobiliare un grande calderone di rame ricolmo di fumanti “sagne” con la ricotta, da distribuire alla popolazione come opera di bene.
A distanza di secoli, a fede di questa tradizione, l’evento si ripete. Il rito di Sant’Antonio Abate, chiamato anche Barone per distinguerlo dal Santo del mese di giugno detto “del Giglio” e perché la Chiesa, dove ne è custodita l’immagine, fu edificata dai baroni scannesi, vanta una lunga storicità passata di generazione in generazione.
Ci sono tantissime fotografie, scattate negli anni, che testimoniano quanto questo evento sia cambiato. E’ evidente, purtroppo, il decrescere della partecipazione e soprattutto dell’assenza delle donne in costume fino a quasi la loro scomparsa se non fosse, per la sola presenza di Margherita Ciarletta. Questa tradizione, per noi familiare, ci aiuta a riflettere, inoltre, sui mutamenti demografici e sociali cui Scanno è andato incontro e a scoprire scenari del passato oggi quasi dimenticati come, per esempio, quello che legava questa festa al Carnevale locale magistralmente ideato da Giuseppe Gavita, meglio conosciuto come “Giuseppillo”.
Grazie a Margherita, classe 1931, siamo venuti a conoscenza, nel dettaglio, di una vicenda ormai dimenticata: – Giuseppillo, il menestrello di Scanno, dal 17 gennaio, per le restanti domeniche fino all’arrivo del Carnevale, andava in giro per il paese in groppa ad un somarello, concessogli da Pasquale Consalvo, per mettere in scena la sua “carovana” mascherata. Tra cibo e ospitalità, peripezie e contentezza, si passava l’intero periodo, che culminava nel giorno carnevalesco, alla costruzione, sempre a opera del nostro cantastorie, di una pupazza di cartone sotto sembianze di donna scannese, denominata Mariella, cui si dava fuoco per celebrare appieno l’allegria del momento -.
Nell’anno 2023, dove tutto è tecnologico e ogni cosa va veloce più del vento, sono questi piccoli racconti che, alla fin fine, tengono in vita le nostre tradizioni; pietre miliari di ciò che eravamo e ciò che siamo.
Giulia Di Bartolo